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Girl for a Day

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VOTO: 7,5

Identità negata

Prima di essere uno sceneggiatore e regista cinematografico, Jean-Claude Monod è e continua ad essere uno stimato e autorevole docente di filosofia in prestigiose università francesi. Un background, questo, che fa di lui un intellettuale di grande caratura, che avrà sicuramente influito sulla scelta di quale tipologia di storia raccontare al momento del passaggio dietro la macchina da presa. Ecco allora che per il suo esordio sulla lunga distanza dopo una serie di cortometraggi, Monod ha puntato su una vicenda tanto complessa quanto importante per ciò che ha rappresentato e per le sue implicazioni, conclusa con un processo clamoroso che ancora oggi sfida molte delle nostre certezze. Si tratta della storia vera e toccante di Anne Grandjean, nata intersessuale, il cui caso è stato affrontato da Michel Foucault durante il corso da lui tenuto al Collège de France, “Les Anormaux”. Storia che il neo-regista ha fatto sua e portato sul grande schermo nella sua opera prima dal titolo Girl for a Day (Un jour fille), presentata nel concorso del 38° MiX dopo un fortunato percorso festivaliero in giro per il mondo.
La vicenda in questione ci conduce nella Francia del XVIII secolo al seguito Anne, una giovane costretta a vestirsi da uomo e a cambiare nome a causa della sua attrazione per le donne. Nonostante non si senta a suo agio nel ruolo che le viene a forza assegnato, vive un amore insperato e si sposa. La sua identità viene nuovamente messa in discussione quando viene accusata di aver “profanato dei legami sacri del matrimonio”, e il suo corpo viene nuovamente messo sotto esame crudelmente da autorità religiose, mediche e giudiziarie.
Per raccontare l’odissea umana pubblica e privata della protagonista, l’autore ha dovuto quindi riavvolgere le lancette dell’orologio per consegnare allo schermo e al fruitore di turno un biopic che affonda giocoforza per ambientazione storica le proprie radici nel period-drama. Il ché fa dunque di Girl for a Day un’opera in costume a tutti gli effetti con tutto ciò che produttivamente ne consegue. Una scelta a nostro avviso coraggiosa e per niente semplice o scontata per un debutto, ma che da un punto di vista della qualità emersa dalla resa finale della confezione e della messa in scena, anche grazie al contributo determinate della fotografia di Baptiste Chesnais, oltre che della cura dei costumi e delle scenografie, ha dato ragione all’autore. Quest’ultimo si è preso i suoi rischi anche affidando un ruolo così difficile e impegnativo come principale a una Marie Toscan che prima di questo film non aveva avuto precedenti esperienze come attrice, avendo ricoperto in passato solamente compiti di scenografa e arredatrice di scena. Contro qualsiasi pronostico e pregiudizio invece la diretta interessata ha messo in mostra e a disposizione del personaggio sorprendenti capacità recitative e un forte coinvolgimento emotivo (su tutte la scena di quando la protagonista toglie gli abiti femminili per indossare per la prima volta davanti la macchina da presa quelli maschili), che hanno permesso alla figura di Anne e alla performance della Toscan di diventare dei punti fermi e di forza del film. Con e attraverso di essa, Monod ha potuto consegnare al pubblico i capitoli di un romanzo di formazione che toccano corde e tematiche universali e dal peso specifico rilevante, andando in profondità soprattutto sulla questione della ricerca dell’identità e degli ostacoli che possono sorgere lungo in cammino dell’accettazione individuale e sociale. La mente in tal senso alle vicende narrate in Viola di mare piuttosto che in Ritratto di una giovane in fiamme, opere nelle quali lo spettatore potrà rintracciare la medesima attenzione nell’approccio.

Francesco Del Grosso

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