Effetti collaterali
Non è facile portare il cinema di fantascienza fuori da quei luoghi convenzionali dove normalmente trova terreno fertile, motivo per cui bisognerebbe avere un occhio di riguardo e una certa attenzione nei confronti di quelle opere e dei rispettivi autori che lo hanno reso possibile. Ci riferiamo ad esempio a Kelsey Egan e alla sua opera terza dal titolo The Fix, presentata nel concorso lungometraggi di Sognielettrici 2024, kermesse milanese laddove la cineasta americana aveva trionfato alla prima edizione con la pellicola d’esordio Glasshouse. La regista del Wisconsin ha infatti importato con non poche difficoltà di natura produttiva in Sud Africa, Paese notoriamente non affine alla fantascienza se non fosse per alcune sporadiche esperienze che riconducono principalmente alla figura di Neill Blomkamp, il genere in questione. Lo ha fatto trasferendosi dall’altra parte dell’oceano e fondando in quel di Cape Town la società Crave Pictures, con la quale ha realizzato nel corso degli anni prodotti audiovisivi sulla breve e sulla lunga distanza in essa ascrivibili, compreso il più recente I Carry You Always. Ecco perché al di là del risultato, che come avremo modo di vedere non è dei migliori a causa di una serie di limiti e mancanze riscontrabili di natura strutturale e tecnica, va comunque sottolineata la caparbietà dimostrata dall’autrice con i suoi film di dare alla fantascienza delle occasioni di crescita in una cinematografia come quella sudafricana sempre piuttosto ostile al suddetto genere.
Detto questo, The Fix segna l’ennesimo ritorno della Egan alla “fiaba” distopica a meno di un anno dal già citato I Carry You Always, in cui una donna in condizione di autoisolamento tenta di sopravvivere a un virus trasmesso dall’acqua che ha portato l’umanità sull’orlo dell’estinzione. Stavolta a mettere a rischio la specie in un futuro devastato ci pensa un composto tossico che infetta l’atmosfera terrestre. In questo contesto opera e specula Aethera, un gigante farmaceutico che vende l’immunità a coloro che possono permettersi la dose giornaliera. Quando una modella problematica di nome Ella assume una nuova droga sintetica a una festa in casa, subisce una sconvolgente trasformazione. Inseguita da una pericolosa gang e dalle autorità in combutta con Aethera, cerca disperatamente una “soluzione” per invertire gli effetti della droga per poi scoprire che le sue mutazioni potrebbero salvare la razza umana.
Dunque ancora un’avventura oscura e distopica con un’inclinazione ambientale per una cineasta che utilizza gli stilemi e gli strumenti in dotazione al genere fantascientifico per esplorare temi come l’identità, la percezione e l’autonomia in un futuro spaventosamente fattibile. Il ché nobilita una storia che la stessa regista aveva concepito nel 2013 e che solo ora, a distanza di dieci anni circa, è riuscita a raggiungere il grande schermo, al netto di una serie di stop and go che hanno caratterizzato l’estenuante fase di produzione. Ostacoli, quelli incontrati dall’autrice lungo il cammino, che a conti fatti ed esiti al mano sembrano avere indebolito un progetto che sulla carta aveva un certo potenziale, ma che invece ha dovuto alzare bandiera bianca su molti aspetti. La scrittura e con essa l’impianto dialogico presentano fragilità e criticità in fase di sviluppo che ne minano la credibilità. Le dinamiche alle quali lo spettatore si trova ad assistere spesso non rispettano le premesse che erano ben altre, quelle di un’opera che pur prendendosi sul serio finisce con lo scivolare nelle sabbie mobile di un cinema di genere del vorrei ma non posso. La mente per associazione e similitudini nel plot ritorna a Splice di Vincenzo Natali, con il quale The Fix condivide molte debolezze. A risentirne è la messa in scena, soprattutto nelle numerose scene d’azione presenti sulla timeline, non sempre all’altezza dell’impatto visivo che un film di fantascienza dovrebbe avere e anche la recitazione degli interpreti, con la performance della protagonista Grace Van Dien che lascia, come nel caso della maggior parte dei colleghi e delle colleghe di set, molto a desiderare. La fotografia di Shaun Harley Lee e il montaggio di Richard Starkey sono le note positive di un’orchestrazione purtroppo stonata.
Francesco Del Grosso