Nel bel mezzo del bosco
Buio. Misteriosi suoni amplificati che stanno a ricordare quelli di un bosco. Poi, improvvisamente, un’immagine misteriosa. Quello che inizialmente ci sembra un buco nero, nel momento in cui la macchina da presa, arretrando, allarga il suo campo, finisce per rivelarsi la cavità di una tromba musicale. Il suono di quest’ultima – anch’esso forte, fortissimo e decisamente distorto va ad aggiungersi ai suoni precedenti. Lentamente, l’immagine del musicista Rob Mazurek ci appare visibile mentre quest’ultimo è nell’atto di suonare la suddetta tromba. Poi, improvvisamente, silenzio. Il tutto, in un piano sequenza lungo ben sette minuti.
Se, sin dai suoi primissimi lavori, la documentarista statunitense Lee Anne Schmitt – a cui è stata dedicata una personale durante la cinquantacinquesima edizione del Nuovo Cinema di Pesaro – ha optato per un raffinato lavoro di sottrazione per quanto riguarda la messa in scena, nel presente The Farnsworth Score – mediometraggio firmato nel 2017 proprio insieme al musicista Rob Mazurek – la sua regia ci appare più sperimentale che mai.
Privo del consueto commento fuori campo che ha sempre accompagnato le opere della cineasta, il presente The Farnsworth Scores si svolge interamente nella Farnsworth House di Mies van der Rohe, una casa che tanto sta a ricordare, per quanto riguarda le sue fondamenta, le palafitte e che, completamente immersa nel verde, si distingue per le sue pareti fatte unicamente di vetro. All’interno di essa, il musicista Rob Mazurek fa i suoi esperimenti con i suoni, creando, di volta in volta, un interessante commistione tra suoni della natura e suoni prodotti dall’uomo attraverso strumenti musicali.
E sono proprio tali suoni, in questo interessante documentario, a fare da protagonisti assoluti, distorti, di volta in volta, con una fare che tanto ci sta a ricordare i lavori lynciani. A interromperli bruscamente, improvvisi silenzi, i quali ci appaiono, tuttavia, se possibile ancora più assordanti.
E così, come la stessa inquadratura finale sta a suggerirci, la tanto suggestiva Farnsworth House ci appare quasi come un enorme carillon all’interno di un fitto bosco. Come se la stessa fosse una costruzione sovrannaturale, un qualcosa che non ci è dato così spesso di vedere, se non nei sogni.
In questo suo interessante lavoro, dunque, Lee Anne Schmitt ha abbandonato il suo piglio documentaristico nella sua accezione più classica, per mostrarci l’arte, la bellezza allo stato puro. Senza il bisogno di ulteriori commenti o didascalie in merito. Un mediometraggio, il presente, che si discosta fortemente dalle precedenti produzioni della regista, ma che, allo stesso tempo, ci fa pensare che, probabilmente, nessuno meglio della Schmitt stessa avrebbe potuto raccontarci la straordinaria arte di Rob Mazurek e che altro non fa che confermare il suo straordinario talento, collocandola tra i nomi da tenere maggiormente d’occhio all’interno del ricco e variegato panorama cinematografico mondiale.
Marina Pavido