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The Dark and the Wicked

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VOTO: 7

Il male rurale

Sarà scontato, ma un horror in grado di mettere inquietudine sin dalla propria ambientazione parte da subito con il piede giusto. In The Dark and the Wicked del redivivo Bryan Bertino le sguardo spettatoriale viene immediatamente catapultato in una realtà immota, in quel profondo Texas agricolo in cui isolamento e solitudine sono elementi imprescindibili. E dove, di conseguenza, il male può affacciarsi con molta facilità.
In una fattoria un uomo sta morendo, accudito dalla moglie e da una specie di infermiera. Al suo capezzale accorrono da fuori i suoi due figli, Louise e Michael, anche per fornire un aiuto (non esattamente richiesto) alla madre. Faranno in breve la scoperta che una presenza malefica alligna nei dintorni, mettendo a durissima prova la loro psiche.
Tali premesse narrative rivelano solo in parte le istanze veicolate dal film di Bertino, regista quarantatreenne ben noto agli appassionati del genere a partire dal proprio esordio con l’home invasion The Strangers (2008). Dopo un paio di film di transizione – Il trascurabile Mockingbird (2014) e l’interessante The Monster (2016), horror a carattere “familiare” un po’ penalizzato dalla penuria del budget – eccolo di ritorno con un’opera decisamente più incisiva e a suo modo radicale, il cui obiettivo finale si riaggancia implicitamente a quello del già citato The Monster: mettere in scena attraverso il cinema di genere la disintegrazione del nucleo familiare, pilastro fondante della società statunitense e non solo. Senza ambizioni socio-politiche bensì intavolando un discorso intimo e personale. Un processo distruttivo inevitabilmente segnato dal dolore e dalla sofferenza, costruito sfruttando molti dei luoghi comuni tipici del film “di paura”, compreso il riuscito crescendo di orrore visivo, poiché il sangue abbonda nella seconda parte; stereotipi tuttavia assemblati in modo che il loro senso ultimo si rinnovi di continuo. Eppure tutto ciò ancora non costituisce il cuore pulsante di The Dark and the Wicked, lungometraggio meritoriamente presentato nella stimolante sezione Le stanze di Rol al Torino Film Festival 2020. Ad incutere davvero timore è la percezione quasi fisica di un nulla assoluto, dove la materializzazione dell’orrore può essere benissimo figlia di un disagio mentale impossibile da sopportare. Rapporti conflittuali quando non del tutto inesistenti fanno semplicemente da prologo ad una situazione ineluttabilmente declinata verso la tragedia. Una sorta di elaborazione del lutto – con i figli per forza di cose prima o poi destinati a rimanere orfani, salvo differenti scelte del destino – innervata da una forte dose di pessimismo ai limiti del nichilismo, in cui persino la fede religiosa è destinata a naufragare, rafforzando anzi quella sensazione di contiguità indissolubile tra cosiddetto Bene e altrettanto cosiddetto Male. Messaggio comune a capolavori del genere tipo L’esorcista (1973) di William Friedkin. E anche se il film di Bertino non nutre nemmeno il desiderio di compiere il salto verso simili vette, nondimeno compie egregiamente il suo “sporco” lavoro, grazie anche a performance attoriali senza dubbio adeguate. In primis quella dell’ottima Marin Ireland (Louise), tutt’altro che banale scream queen ma donna a tutta tondo, vulnerabile in molti suoi aspetti ma anche resistente fino in fondo allo scenario da incubo che va gradualmente prendendo corpo attorno a lei. Coinvolgendo però anche coloro che guardano al di là dello schermo cinematografico, perché la forza di The Dark and the Wicked (più o meno L’oscurità e l’entità malvagia), più che nel suo armamentario formale, come detto piuttosto tradizionale, risiede nella capacità di sedimentarsi tra le piaghe di una sofferenza universale. Cosa decisamente non da poco per un piccolo (come costi) film a torto considerato appartenente ad un genere minore. Che, al contrario, ha sempre qualcosa di destabilizzante da dire. Verrebbe da dire per fortuna.

Daniele De Angelis

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