Stesso posto, stessa ora
Date le numerose e puntuali partecipazioni nel circuito festivaliero nazionale e internazionale è davvero difficile non imbattersi prima o poi in un’opera firmata da Luca Ferri. Il prolifico regista bergamasco e le sue multiformi creazioni audiovisive sviluppate sulla breve, media e lunga distanza sono da anni, infatti, una presenza fissa e gradita nelle line-up delle kermesse cinematografiche. La riprova del grande fervore che ne anima e ne alimenta stagionalmente la produzione viene dal fatto che non è trascorso molto dalla premiere di Dulcinea in quel di Locarno 2018 (selezionato anche nella sezione “Onde” del Torino Film Festival 2018), che Ferri ha già una nuova cartuccia da sparare sul grande schermo. Si tratta di Pierino, presentata nel concorso internazionale del Filmmaker Festival 2018 ad una manciata di giorni dalla prima apparizione pubblica al 61° DokFestival Leipzig.
Sulla carta, la pellicola in questione è inscrivibile nella macro-area del ritratto biografico, dalla quale però l’autore riesce ad allontanare il final cut dando forma e sostanza a qualcosa di assolutamente personale. Fedele alle idee e al pensiero del protagonista, il documentario è una sorta di nostalgico atto d’amore nei confronti di un supporto obsoleto e di una tecnologia ormai in disuso, praticamente in via d’estinzione, come il VHS. In tal senso, Pierino nel suo piccolo vuole essere, oltre che un capitolo di un romanzo esistenziale fuori dagli schemi, anche un omaggio all’universo analogico e meccanico di un sistema del quale purtroppo rimangono esemplari orgogliosamente e gelosamente custoditi in soffitta. Ed è per sottolineare la mancanza e l’affetto che Ferri, riavvolgendo il nastro, ha messo da parte le moderne e gelide tecnologie digitali per filmare il suo nuovo lavoro con una vecchia videocamera in VHS. Attraverso di essa ha raccontato con un sapore vintage, una colonna sonora da commediola scollacciata e una grafica old style una parentesi di vita di Pierino Aceti. A molti di voi il nome non dire nulla e in effetti non è così altisonante da essersi guadagnato particolari allori. Probabilmente chi negli anni ha avuto la possibilità di partecipare al Bergamo Film Meeting, del quale lui stesso è stato e continua ad essere un assiduo frequentatore, ne avrà sentito parlare, altrimenti trattasi di una persona come tante, un signore abitudinario, oggi in pensione dopo una vita da impiegato, con una grandissima passione per la Settima Arte che lo ha reso un dizionario cinematografico vivente.
A questo punto vi starete chiedendo – ed è assolutamente lecito – quale tipo di interesse potrebbe avere lo spettatore nei confronti di un’opera simile, che narra di un’esistenza e di un profilo comune apparentemente anonimo, ma anche quali siano state le esigenze che hanno portato il cineasta lombardo a scegliere di realizzarci un film. In parte abbiamo già risposto parlando della componente romantica, che a nostro avviso potrebbe già essere sufficiente a motivare la scelta, ma se si va a scavare ancora più in profondità si può trovare ben altro. In primis la possibilità di misurarsi con una biografia inconsueta incentrata su un personaggio fuori dalla norma. Per un anno esatto, ovvero per cinquantadue giovedì, il regista si è recato dalle ore 10.30 alle ore 11.30 del mattino proprio a casa di Aceti. Ogni incontro è ruotato attorno alla stessa domanda: “cosa hai fatto questa settimana?”. Nel corso del formale accordo emerge la ferrea struttura organizzativa delle giornate di Pierino, la sua implacabile capacità di classificare e memorizzare cose e dettagli, dei film e della vita, di frammentare il tempo in minuziosi e misurabili eventi.
Pierino è un diario fatto di appunti quotidiani e di inquadrature volutamente decentrate, scandito con metodica precisione svizzera dallo scorrere dei giorni, delle settimane, delle stagioni, delle pagine di un calendario di Snoopy e dagli oroscopi radiofonici dedicati al segno della bilancia. Ferri li raccoglie e li sovrascrive sul nastro, dando al protagonista la possibilità di raccontare e di raccontarsi in un flusso orale che sa di seduta terapeutica, interrotto solo da brevi frammenti di quotidianità domestica. E quando pensi che il tutto si risolva in un’ora e passa di noia, arrivano i primi minuti a dire l’esatto contrario, con il cinismo e lo humour graffiante a prendere il sopravvento e a regalare puro divertimento.
Francesco Del Grosso