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The Boy

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VOTO: 5.5

Camminano. Parlano. Uccidono

La cinematografia dell’orrore si è spesso interessata a bambole assassine e pupazzi posseduti per tutto il corso del secolo passato. Nonostante i primi lavori del genere si facciano risalire addirittura agli anni compresi tra il 1936 ed il 1945, con qualche rara apparizione anche durante gli anni Settanta, questo fecondo filone avrà la sua consacrazione soltanto in epoca più recente. È a partire dagli anni Ottanta, infatti, che faranno la loro comparsa sul grande schermo almeno due pellicole di rilevanza fondamentale per la categoria: Dolls (1987) di Stuart Gordon ed il ben più noto La bambola assassina (1988), di Tom Holland, già sceneggiatore a suo tempo di Psycho II (1983). In particolare, questo secondo film darà origine ad una lunga serie di sequel che trasformerà presto Chucky in una vera e propria star nell’Olimpo dei villain cinematografici. Più di recente, John R. Leonetti dirige invece un’altra pellicola sulla stessa linea, Annabelle (del 2014), che si presenta come spin-off de L’evocazione – The Conjuring di James Wan, ottenendo però dei risultati qualitativamente inferiori rispetto a quest’ultimo.
Anche William Brent Bell, dopo aver esordito con un cortometraggio nel lontano 1999, si getta a capofitto sul cinema horror, restandoci immerso fino ad oggi. Il suo lavoro più noto, Wer (reperibile in Italia come La metamorfosi del Male, del 2013), suggerisce subito delle buone capacità stilistiche senza mai fare però un vero e proprio salto di qualità. Stessa sorte tocca a The Boy (2016), costato dieci milioni di dollari e nelle sale italiane in questi giorni grazie alla distribuzione della Eagle Pictures, il quale riprende il tema dei fantocci malvagi in una chiave che si rivelerà negli ultimi minuti piuttosto inaspettata.
Siamo in Inghilterra (anche se il film è stato girato a Victoria, nella Columbia Britannica canadese, presso il castello di Craigdarroch). Greta (Lauren Cohan) è una ragazza americana che, scappando da un turbolento passato, trova lavoro come babysitter presso una ricca famiglia inglese. Arrivata in una enorme villa vittoriana, ad accoglierla troverà i coniugi Hellsire (Jim Norton e Diana Hardcastle), i quali devono partire per un viaggio dalle ragioni oscure. Prima di lasciare l’abitazione, i due anziani coniugi le indicano alcune regole da rispettare per prendersi cura del loro piccolo. La cosa bizzarra sarà che Brahms, questo il nome del figlioletto, non è un bambino come tanti altri, ma una bambola di ceramica priva di qualsiasi espressività, che tuttavia presto rivelerà avere una vita propria.
Pensato e scritto dal suo sceneggiatore, Stacey Menear, The Boy si palesa subito come un haunted-house movie dall’aria gotica che cerca di riportare in vita proprio quella branca del cinema horror di cui sopra. Esso punta intelligentemente sui bizzarri comportamenti del piccolo Brahms, i quali – a differenza del Chucky di Holland – saranno resi sempre fuori campo e mai visibili dallo spettatore, capaci quindi di addensare la tensione all’interno dell’abitazione signorile degli Hellshire. La misura con cui è tagliata la pellicola, in questo senso, rimane sempre piuttosto elevata e non perde tempo a manifestarsi.
Sono questi, assieme ad una fotografia ben studiata da Daniel Pearl (ricca d’atmosfera la scena dei due anziani sulla spiaggia, per esempio), i punti salienti di un prodotto allo stesso modo costellato di altrettante lacune. Se la rappresentazione della Cohan regge l’intera durata del film – brava a liberarsi dal ruolo che la vede da ormai cinque stagioni come uno dei volti principali di The Walking Dead – è altrettanto vero che troppi cliché in fase di scrittura (come le scappatine romantiche di Malcom [Rupert Evans], il proprietario di un emporio in paese) minano alla base quelli che sono i presupposti iniziali del film di Bell. Il twist finale ricco d’azione, che permette al film di abbandonare i luoghi del paranormale per addentrarsi verso altri più realistici, non consente a The Boy di emanciparsi appieno dai luoghi comuni del genere e di riportare in auge un filone ormai assopito da almeno tre decadi.

Riccardo Scano

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