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Tell It to the Bees

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VOTO: 6.5

Il paese è piccolo e la gente mormora

Abbiamo preferito rimuoverli, ma c’è sicuramente qualcuno oltre a noi che ricorderà film come D.O.A. – Cadavere in arrivo e Super Mario Bros.. Entrambe firmate da Annabel Jankel e dal sodale Rocky Morton, le due pellicole sono meritatamente scivolate negli abissi della dimenticanza per la mediocrità dei risultati raggiunti. Correvano gli anni 1988 e 1993 quando la coppia portava sugli schermi prima un macchinoso thriller e poi una scalcinata avventura videoludica basata sui celebri personaggi della Nintendo. Il tempo si sa aiuta a dimenticare e i venticinque anni trascorsi ci hanno agevolato il compito, così come il ricordo piacevole dei lavori che la Jankel ha diretto in solitario per il piccolo schermo (Live from Abbey Road e Skellig) e nel campo dei videoclip (per artisti come Talking Heads, Tom Tom Club, Elvis Costello, Miles Davis e George Harrison).
Il percorso di rimozione prosegue ora con Tell It to the Bees, il cui recupero è stato reso possibile grazie alla presentazione alla 33esima edizione del Festival Mix Milano, laddove è stato proiettato in concorso dopo l’anteprima mondiale al Festival di Toronto 2018. Il ritorno al cinema della cineasta britannica non ci ha fatto sobbalzare dalla poltrona ma ha saputo regalare comunque una serie di emozioni di varia intensità. La trasposizione dell’omonimo romanzo di Fiona Shaw ha un cuore pulsante che offre al pubblico di turno battiti dal ritmo cangiante, con gli ultimi trenta minuti in accelerazione progressiva. Sono dunque le emozioni che la storia è in grado di provocare e trasferire allo spettatore ad alimentare il motore di una fruizione che nel complesso vive di alti e bassi. Un sali e scendi dovuto principalmente a certe debolezze strutturali che si palesano nel corso della timeline, alle quali la regista prova a sopperire con la componente empatica e con le coinvolgenti interpretazioni di Holliday Grainger e Anna Paquin, nei panni di due donne che decidono di amarsi sfidando una società fortemente patriarcale e le miopie locali in nome della libertà e dell’indipendenza.
Siamo nella Scozia del 1952, le donne vanno a lavorare e il controllo degli uomini su di loro tramite il potere finanziario è in diminuzione. Tuttavia Lydia, dopo la fine del suo matrimonio con Robert, viene sfrattata e trova riparo in casa della dottoressa Markham, il che provoca un’ondata di pettegolezzi locali, specialmente da parte di Pam, la sorella di Robert, che la conosceva prima che venisse cacciata dalla città a causa di una relazione sconveniente. Non bastano gli scorci pittoreschi e i bucolici giardini a nascondere le brutalità della società patriarcale.
Di storie d’amore omosessuali più o meno travagliate e provenienti dal passato come questa la Settima Arte ne ha raccontate innumerevoli (torna alla mente per analogie Viola di mare di Donatella Maiorca), ciononostante Tell It to the Bees riesce attraverso il punto di vista scelto a trovare un motivo d’interesse narrativo e drammaturgico efficace, anche se non sfruttato al massimo, ossia quello del piccolo Charlie: è infatti la sua voce e il suo sguardo in macchina nell’incipit a informarci che la storia che stiamo per vedere è basata sul ricordo più o meno sfuocato che lui ne ha, quella del risveglio sentimentale e sessuale di sua madre Lydia, che sfida i costumi locali cacciando di casa il sempre assente padre di Charlie, e innamorandosi del nuovo medico, la dottoressa Jean Markham.
Il risultato è un melodramma vecchio stile, molto curato nella confezione e nella ricostruzione storica, che si regge sulle interpretazioni delle attrici principali e su folate di lirismo che riportano in quota il cinema della regista britannica.

Francesco Del Grosso

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