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Nona. Si me mojan, yo los quemo

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VOTO: 6.5

Nonnina incendiaria

Il cinema cileno continua imperterrito nella resa dei conti con il proprio passato. Sia esso affrontato in chiave storica, come nel caso delle opere firmate dall’esponente di punta Pablo Larrain, oppure da una prospettiva maggiormente intima e personale, come accaduto in questo Nona. Si me mojan, yo los quemo, opera terza della regista Camila José Donoso presentata in concorso alla cinquantacinquesima edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.
Protagonista indiscussa del lungometraggio, come si evince anche dal titolo, è la figura della nonna della regista. Un’anziana del tutto particolare, burbera e irascibile con in più la tendenza a farsi giustizia a modo suo fabbricando e lanciando, nottetempo, bottiglie incendiarie. Come testimoniato dal prologo e dall’epilogo di questa sorta di docu-fiction, a confermare una struttura circolare piuttosto labirintica dello stessa. Una donna che ha attraversato le epoche telluriche di Allende e Pinochet – omettendo comunque un giudizio nitido su di esse – conservando una memoria sempre meno lucida di quei tempi comunque burrascosi, che la nipote/regista rappresenta mediante una messa in scena estremamente variegata che fa ricorso a vari formati – dal Super 8 alla pellicola sgranata in 4:3, oltre che al digitale contemporaneo – a simbolizzare un inestricabile mix tra passato remoto, prossimo e presente. L’operazione, del tutto sperimentale, può dirsi riuscita, tanto da gettare lo spettatore in quella zona oscura dove la Verità diviene qualcosa solamente di intuibile alla lontana, miraggio ben lontano da qualsivoglia certezza. Una scelta stilistica che però finisce con lo scontare un prezzo abbastanza alto a livello di emozione ed empatia: l’amata nonna resta infatti una figura sfuggente, tetragona alle interpretazioni terze e perciò lontana da quel calore umano che forse Camila José Donoso avrebbe voluto trasmettere non solo al pubblico ma anche a se stessa, nel proprio percorso di ricerca sulla ingombrante figura parentale.
Nona. Si me mojan, yo los quemo rimane così la classica opera da festival; teorica quanto si vuole ad un’interpretazione puramente formale e tuttavia priva della scintilla del pathos ad animarla. Un esercizio di stile talvolta giocoso ma più spesso serissimo che predica l’importanza della memoria ma allo stesso tempo ne mette in dubbio l’effettiva autenticità, mostrandone la possibile caducità se non altro per motivi essenzialmente anagrafici. Il tempo non fa sconti a nessuno e la mente umana può indurre al “tradimento” di quei ricordi che apparentemente potevano sembrare inattaccabili.

Daniele De Angelis

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