Intervista su un film che in Ucraina ha fatto discutere
Solitamente, almeno su CineClandestino, sono io a dover intervistare altri addetti ai lavori relativamente al loro rapporto col cinema: parliamo soprattutto di registi, sceneggiatori, produttori, attori. Stavolta però si è creata una situazione particolare. Durante le Giornate del Cinema Ucraino svoltesi di recente (1/4 giugno 2017) a Roma, presso il cinema Farnese Persol, uno dei film più attesi era senz’altro The Nest of the Turtledove (Il nido delle tortore – Ucraina/Italia, 2016) di Taras Tkachenko. Ma curiosamente il sottoscritto, per motivi che andremo tra poco a spiegare, una tale opera cinematografica, parsa interessante anche per le sue non trascurabili implicazioni sociologiche, la conosceva già. Il film in questione è stato premiato come Best Ukrainian Feature all’Odessa International Film Festival 2016 e quest’anno ha vinto ben 6 Dzyga d’oro, gli ‘Oscar’ assegnati dalla neonata Academy ucraina. Al centro della narrazione ci sono i drammi e le speranze di Daryna, badante in una famiglia italiana, divisa fra la Genova in cui lavora e il villaggio dei Carpazi orientali dove vivono il marito e la figlia: una storia comune a un’intera generazione di donne ucraine. Ne è protagonista Rimma Zyubina, una delle più importanti e amate attrici del paese, presente anche lei alla prima italiana assieme al regista e a parte del cast.
Ebbene, come si accennava poc’anzi, al sottoscritto The Nest of the Turtledove era già noto per via di una visione privata avvenuta lo scorso autunno grazie a una collega di Kiev, Nadia Zavarova, interessata ad ascoltare l’opinione di un giornalista italiano sul lungometraggio di Taras Tkachenko. Esiste quindi, sul sito ucraino CULTPROSTIR.UA, una versione in cirillico del servizio che vi stiamo ora proponendo, in cui chi vi scrive si è trovato a passare estemporaneamente dal ruolo dell’intervistatore a quello dell’intervistato. A seguire un resoconto della singolare conversazione: buona lettura… e buona scoperta del cinema ucraino, per quando ne avrete l’occasione.
Stefano Coccia
Nadia Zavarova: Se non avessi visto il film, prima dell’intervista, il titolo The Nest of the Turtledove a cosa ti avrebbe fatto pensare?
Stefano Coccia: Beh, vedendo il film il valore metaforico del titolo diventa più chiaro. Ma prima di vederlo avrei pensato a qualcosa di diverso, magari a un documentario…
Nadia Zavarova: Dopo aver visto un film del genere, qual è stata la tua prima impressione?
Stefano Coccia: L’impressione complessiva, riguardo al film, è abbastanza positiva. Gli attori sono bravi e m’hanno aiutato a prestare attenzione ai personaggi, alle loro storie. Forse qualche passaggio del racconto può essere un po’ forzato, a livello psicologico, per eccesso di enfasi. Ad esempio la reazione della figlia della protagonista l’ho trovata un po’ esagerata, nel momento in cui prende il fucile. Una scena un po’ troppo ad effetto. Ma il resto viene rappresentato discretamente, anche lo sguardo su Genova mi è abbastanza piaciuto.
Nadia Zavarova: Dal punto di vista di un italiano la storia e il modo in cui viene raccontata risulta più favolistico o vero?
Stefano Coccia: Le situazioni descritte suonano abbastanza vere. Hanno un tono realistico. Il modo in cui viene rappresentato il rapporto del protagonista italiano con la madre, per esempio, ricorda parecchio le dinamiche psicologiche di certe famiglie delle nostre parti. Forse l’ambiente del villaggio ucraino può sembrare un po’ “esotico”, ma solo per quegli italiani che hanno viaggiato poco in Europa Orientale, o che hanno visitato solo le grandi città, senza entrare nei piccoli centri o in campagna.
Nadia Zavarova: Quali sono I luoghi comuni più diffusi, in Italia, per quanto riguarda le badanti e le donne delle pulizie di provenienza ucraina?
Stefano Coccia: Qualche luogo comune resiste ancora, in Italia. Soprattutto presso le nostre donne. Ci sono donne italiane giovani o di mezza età che guardano con sospetto alle badanti ucraine, moldave, bielorusse, rumene, perché pensano che vengano in Italia più che altro per sedurre gli uomini che possiedono qualche proprietà, o che hanno un buon conto in banca, oppure per truffare gli anziani cui devono prestare assistenza in casa.
Nadia Zavarova: Un film come questo combatte tali luoghi comuni oppure no?
Stefano Coccia: Secondo me sì. Perché mostra una realtà più complessa, delicata, ricca di sfaccettature, facendo vedere anche come scorre la vita in Ucraina e quali motivazioni hanno le donne che partono dal loro paese, per lavorare e mantenere la famiglia.
Nadia Zavarova: Cosa dici invece sul lavoro degli attori italiani? E sull’immagine d’Italia offerta da questo film?
Stefano Coccia: Gli attori italiani mi sono sembrati bravi, molto naturali. Soprattutto la madre anziana: penso venga dal teatro, appare preparata e con una forte presenza scenica. L’immagine dell’Italia forse è un po’ parziale. Escono fuori poche situazioni, anche se comunque il ritratto di una delle tante famiglie benestanti, coi genitori separati, è piuttosto riuscito. Come dicevo prima, pur essendoci poche scene in esterni, l’immagine di una città particolare come Genova mi sembra ugualmente curata.
Nadia Zavarova: Il sub-plot della figlia incinta e di come viene trattata non ti sembra un po’ troppo melodrammatico, come in certe fiction televisive?
Stefano Coccia: Sì, su questo sono d’accordo. In parte lo dicevo anche prima: ci sono qua e là alcune scene un po’ esagerate, grossolane, fuori tono, come se ne vedono a volte in certi prodotti televisivi delle nostre parti.
Nadia Zavarova: Cosa pensi della parte finale della storia?
Stefano Coccia: Il finale mi ha colpito di meno, del film ho preferito senz’altro la prima parte, più genuina, interessante, precisa nelle atmosfere.
Nadia Zavarova: Del finale ti ho chiesto perche all’inizio il regista aveva girato un finale dove il marito ucraino muore. Ma il distributore ha detto che per lui era un finale troppo tragico e ha costretto il regista a cambiarlo. Che ne pensi di questo cambiamento? Secondo me ha reso tutto troppo melodrammatico.
Stefano Coccia: Non saprei. Dipende da come veniva introdotta nel racconto la morte del marito: poteva essere un finale troppo brusco o al contrario un finale più genuino, veritiero, però in generale penso che se gestita bene poteva essere una conclusione interessante…
Nadia Zavarova: In Italia i distributori possono costringere un regista a cambiare il finale?
Stefano Coccia: Credo possa accadere in qualsiasi paese. Magari negli stati Uniti il condizionamento delle majors è più forte, tant’è che anche di film importanti (vedi Blade Runner) si conoscono diverse versioni, tra cui la Director’s Cut uscita fuori più avanti. Può succedere anche in Italia, dove magari si respira più libertà e autonomia, per i registi, quando si lavora con piccole produzioni indipendenti.
Nadia Zavarova: Cosa pensi del marito ucraino, come personaggio? Te lo chiedo perche l’attore Vitaliy Linetskiy è morto quando era stata girata circa la metà del film, forse anche meno. Si vede secondo te che tante cose sono cambiate in sceneggiatura, per farlo rimanere sullo schermo, e che tante cose sono state risolte solo grazie al montaggio?
Stefano Coccia: Non sapevo di questa brutta storia, mi spiace sia andata così. Ma ho l’impressione che il regista sia stato abile, in fase di montaggio, a coprire i buchi facendo funzionare il film lo stesso. Certo, ora che me lo hai detto, viene naturale ripensare all’evoluzione del suo personaggio e avere il sospetto che senza l’incidente potesse esserci qualcosa di più, nello script, che ne definisse meglio il carattere e le scelte famigliari…
Nadia Zavarova: I dialoghi in italiano suonano autentici, vivi?
Stefano Coccia: Sì, i dialoghi sono abbastanza convincenti. Anche a livello di attenzione per l’aspetto linguistico. Spesso si vedono film stranieri ambientati in parte nel nostro paese, dove i personaggi italiani parlano in modo strano, o poco credibile… per fortuna non è questo il caso.
Nadia Zavarova: Se tu avessi la possibilità di girare o produrre una coproduzione tra Ucraina e Italia, quale storia proporresti e come?
Stefano Coccia: Beh, quello proposto qui è un tema molto sentito in entrambi i paesi, per cui penso che sia stata una scelta giusta. Conoscendo il mio carattere, se avessi dovuto realizzare io un film avrei magari cercato di farci entrare i drammatici cambiamenti politici avvenuti in Ucraina negli ultimi anni, anche in modo polemico, ma mi rendo conto che sarebbe stato un discorso difficile da affrontare, ancora troppo controverso e delicato, soprattutto per una co-produzione.
Nadia Zavarova: Il film si vedrà prossimamente al cinema anche in Italia. Quale sarà secondo te il pubblico del film? Credi che potrà aver successo?
Stefano Coccia: In Italia, come in altri paesi, c’è una certa pigrizia nei confronti dei film stranieri che non siano americani, inglesi o al massimo francesi. Per cui penso che avrebbe un pubblico limitato. Ma, se pubblicizzato nel modo giusto, potrebbe riscuotere l’interesse di quello che chiamiamo un pubblico di nicchia, ovvero un pubblico più ristretto che nelle sale cerca anche cinema d’autore e film provenienti da cinematografie più piccole.