Ritorno al liceo Moordale
Identificare un film con un suo singolo “frame” non è semplice. Figuriamoci se lo è tentare di farlo con una serie tv, la cui durata si dilata ulteriormente e si divide in maniera spesso irregolare nei vari episodi. Eppure, se desiderassimo compiere una simile operazione per la seconda stagione di Sex Education, avremmo pochi dubbi in merito alla scelta da fare e ci ritroveremmo a identificarla con l’inquadratura più toccante del suo settimo episodio: sei delle protagoniste dello show sistemate nei sedili in fondo a quel bus che tanto terrorizza una di loro, in precedenza vittima di pesanti molestie a bordo del mezzo e ora psicologicamente impossibilitata a salirci da sola. Non per forza tutte amiche del cuore, ma unite da una solidarietà che parte dal proprio genere d’appartenenza per superarne i limiti dal punto di vista semantico e abbracciare una più universale richiesta d’attenzione e giustizia per questioni la cui importanza e delicatezza è troppo spesso taciuta, o perlomeno molto sottovalutata.
Ridere, pensare, indagare ogni aspetto della sessualità e dell’erotismo umano per cogliere le differenze che ci contraddistinguono in senso più ampio, passarle davanti alla lente d’ingrandimento e infine accoglierle come naturali perché parte dell’infinito e variopinto quadro della nostra esistenza, irriducibile a qualsivoglia forma di controllo, o meglio di limitazione. Questo è ciò che si propongono di fare Sex Education e la sua ideatrice, Laurie Nunn. E questo è ciò che riescono a fare, ancora una volta bene, nella seconda stagione della serie, distribuita da Netflix a partire dal 17 gennaio 2020. Non era facile confermarsi sugli ottimi livelli della prima parte e del buon esito dell’operazione va dato merito alla Nunn, ai registi e a tutti quanti coloro che hanno lavorato alla sua realizzazione.
Ritorniamo al liceo Moordale e a quella sua identità particolare, ibrida, decisamente più vicina a quella di una scuola americana piuttosto che a quella di un istituto britannico, quale è. Naturalmente tutto ciò è fortemente voluto dagli autori di Sex Education, anche e soprattutto per richiamare alla memoria certi film adolescenziali statunitensi, su tutti alcuni di John Hughes (The Breakfast Club è espressamente citato proprio nell’episodio di cui discutevamo all’inizio).
Il nostro Otis sta attraversando un periodo solo all’apparenza positivo. L’avevamo lasciato all’inizio della sua storia con Ola, lo ritroviamo lì, ma presto il caos e una serie notevole di decisioni sbagliate prenderanno il sopravvento sulla sua rinnovata serenità e sulla sua, personalissima, indagine in merito al proprio corpo, finalmente libero, questo sì, dai vincoli mentali che gli impedivano di concedersi quell’autoerotismo che i suoi coetanei certo non si negano.
La dimensione della sessualità e delle questioni che porta con sé prende il sopravvento sul giovane protagonista dello show, mentre, dall’altra parte, quella che potremmo definire il suo corrispettivo femminile, in termini di rilevanza e di spazio concessole nell’intreccio, vale a dire Maeve, è impegnata in tutt’altro tipo di situazioni, in particolare in quella che le vede (ri)piombare in casa la madre (ex?)tossicodipendente assieme alla sorellastra di soli tre anni. I registi della serie ci regalano un ritratto delicato di un turbolento contesto familiare. Nota bene: Maeve conserva intatti i suoi sentimenti nei confronti di un ancora immaturo Otis (eh sì, i maschietti non sempre brillano per acume in questa seconda stagione) e in otto episodi non la vedremo intrecciare alcun tipo di rapporto o relazione con nessun altro, se si eccettua per quello ancora indefinibile con il vicino di casa costretto su una sedia a rotelle, Isaac.
La clinica resta, per i due ragazzi, l’occasione dove mantenere un contatto. Perlomeno inizialmente, perché è in arrivo una concorrenza agguerrita, cioè Jean Milburn, sessuologa e madre di Otis, convocata dalla scuola per aprire e gestire uno sportello d’ascolto per gli studenti.
Non trascura nessuno dei suoi personaggi, nemmeno secondari, Sex Education, e in questo risiede senza dubbio uno dei maggiori punti di forza dello show. E così c’è spazio per i dubbi sentimentali di Eric, per l’indagine su se stessa e sulla propria sessualità di Ola, per la piena accettazione di sé da parte di Adam (un po’ stereotipata nei modi rappresentativi, forse, la parentesi del suo breve soggiorno militare), per la difficile rielaborazione della molestia subita in Aimee e per le nuove prospettive di vita all’infuori dello sport che Jackson decide di aprirsi. Ma non sono solo gli adolescenti (vecchi e nuovi, e tra i nuovi troveremo delle figure interessanti, come quelle di Viv e Rahim) ad essere al centro dell’attenzione degli autori della serie; altrettanto spazio trovano gli adulti e le loro problematiche, come il rapporto tra Jakob e Jean, quello, deteriorato, tra il preside Gross e la moglie, la crisi esistenziale del padre di Otis, ecc.
Accettazione di sé, omosessualità, asessualità, violenza di genere, abusi e la possibilità del venir meno della passione all’interno del matrimonio sono solo alcuni dei temi discussi ed affrontati da uno show davvero ad ampio spettro investigativo. Accompagnato da una colonna sonora scoppiettante (in cui spicca quel “Make Your Own Kind of Music” la cui eco i fan di Lost non avranno certo mancato di notare) Sex Education chiude un’altra, brillante, stagione, conferma la validità del prodotto e s’appresta a proseguire, ricordandoci che “sex doesn’t make us whole, so how could you ever be broken?”
Marco Michielis