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Il Drago di Romagna

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VOTO: 6.5

Dreaming of China

Un film in diretta – ed involontaria – connessione con la realtà. Mentre il mondo, Italia compresa, si preoccupa giustamente per la pandemia scaturita dal cosiddetto coronavirus di origine cinese, ecco fare capolino nelle sale nostrane con un’uscita a scacchiera questa docu-fiction diretta da Gerardo Lamattina, intitolata Il Drago di Romagna. La quale, ovviamente, con il famigerato virus non ha nulla da spartire ma con la Cina c’entra eccome: perché racconta della diffusione in Emilia Romagna di un gioco da tavolo come il mah jong, creato proprio nel paese detto “Regno di Mezzo”.
La storia raccontata gode di un’indubbia capacità di fascinazione. Attraverso la passione per il gioco esplicitata dall’anziana Luisa – narrata dalla figlia di mezza età – si ripercorrono le tappe di diffusione, stavolta benefica, del mah jong, portato nelle varie località straniere dalle navi commerciali in epoche remote. In particolar modo Ravenna, dove è divenuto nel corso dei decenni passatempo assolutamente primario grazie alla felice intuizione di un imprenditore, Michele Valvassori, il quale ne rielaborò l’aspetto formale per renderlo più adatto al gusto locale. Con risultati mirabolanti. Senza entrare nei dettagli Il Drago di Romagna risulta utile anche a comprendere cosa rappresenti un gioco da tavolo che, ad occhi profani, potrebbe sembrare simile al ramino oppure alla scala quaranta. Uno strumento di evasione, ma anche una possibilità di viaggio usando la fantasia, un ponte ideale tra due culture geograficamente distanti come quelle cinese ed italiane. Non casualmente la pensionata Luisa ha sempre sognato un viaggio in Cina da compiere assieme al marito ormai defunto: per toccare con mano i motivi per i quali quel determinato gioco ha fatto così efficace breccia nella sua immaginazione. Il discorso andrebbe dunque esteso, forse sin oltre gli indubbi meriti concettuali del lungometraggio stesso. In epoche di sovranismi, di allarmi inconsulti, di chiusure verso la diversità dell’altro intesa soprattutto come estraneo dal punto di vista razziale, Il Drago di Romagna può rappresentare un utile punto di partenza per provare ad azzerare tali preconcetti. A maggior ragione oggi, nel momento in cui la vasta colonia cinese che abita il nostro paese si trova in fortissima difficoltà per colpe non certo attribuibili a loro.
Pazienza, allora, se la recitazione di questa ricostruzione in chiave fiction non è sempre all’altezza, sembrando in alcuni momenti sin troppo naif; e se Lamattina, probabilmente con eccesso di zelo, esagera un po’ nel condire il tutto con eccessivo folclore locale, soprattutto dal punto di vista musicale. L’importante è che Il Drago di Romagna contribuisca ad incrinare quelle barriere mentali che a molti fa comodo erigere. Un messaggio di uguaglianza che riguarda anche la comunità cinese nei confronti della nostra, ben posizionato tra le righe di un discorso ameno che sembra parlare d’altro ma riconduce ogni cosa a valori di pregnante rilievo. Se dovesse capitare in un cinema dalle vostre parti, Il Drago di Romagna merita senza dubbio una visione al di là della propria definita “geolocalizzazione”. Che è solo uno degli aspetti formali e di facciata di un’opera da apprezzare nella sua velata complessità.

Daniele De Angelis

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