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Severina

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VOTO: 7

L’aleph

Un uomo gestisce una grande e polverosa libreria nel centro di Montevideo, aspira a diventare scrittore, fa parte di un circolo letterario di amici che si ritrovano a discutere di romanzi e che organizzano dei reading letterari. La sua vita cambia quando si accorge che una bella ragazza gli ruba sistematicamente dei libri infilandoseli nella borsa di nascosto. Vorrebbe conoscerla da un lato, ma dall’altro è spinto a smascherarla. Un film sulla letteratura, sull’amore per i libri, sulla scrittura. Ambientato in un decadente contesto urbano sudamericano, dove sopravvivono quelle vecchie librerie dagli scaffali colmi, dove gli antifurti moderni scattano in ritardo, non ancora sostituite dai bookshop seriali come da noi. Ma anche in quel mondo le saracinesche stanno per abbassarsi.

Questo è Severina, coproduzione brasiliano-uruguayana, di un regista brasiliano, girato a Montevideo e parlato in spagnolo, presentato in concorso al 28° Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, dopo l’alteprima al Festival di Locarno 2017. Un film che dal libro prende immediatamente la struttura, nella divisione in capitoli numerati demarcati da cartelli. Che gioca sui richiami letterari e sul peso che hanno nella vita dei personaggi e nello sviluppo narrativo del film. Ana, come dice di chiamarsi, è una cleptomane bibliofila da subito ammantata da un’aura di erotismo e che, non a caso, ruba dei caposaldi della letteratura erotica, come il “Genji monogatari” e “Le mille e una notte”. E il messaggio che il libraio vuole lasciare alla donna, scritto sul frontespizio di un libro che spera che lei rubi, è affidato al romanzo “Zoo o lettere non d’amore” di Viktor Šklovskij, che tratta proprio di una corrispondenza amorosa vietata, rivolta a una donna che si chiama Alja, nome simile ad Ana, con cui la ragazza cleptomane del film si presenta subito dopo. I romanzi citati nel film saranno tantissimi, comprendendo anche testi di critica letteraria come quello di Mario Praz. E non si può non passare per Ray Bradbury e “Fahrenheit 451”, l’opera grondante di amore per i libri per eccellenza, citato in una discussione del circolo di amici, dove la memoria, come conservazione dei libri, viene fatta equivalere alla libertà. Va detto che questa fitta tessitura letteraria rappresenta anche il maggior limite di Severina, rendendolo eccessivamente didascalico e “telefonato”. I testi bibliografici citati sono come delle note a piè pagina, che si possono consultare per fornire una spiegazione alle scene del film.
Il regista Felipe Hirsch nel costruire una storia di realismo magico sudamericano esplicita chiaramente il suo referente letterario, vale a dire Jorge Luis Borges. Tutto nel film oscilla tra verità e falsità, quello che scopriamo della vita di Ana non è mai risolutivo e risulta contradditorio. Chi è quell’uomo anziano che vive con lei? A tratti viene accreditato come il fidanzato, a tratti come il padre. È proprio la ragazza che vediamo falsificare il passaporto per la loro fuga, lei stessa simbolo della contraffazione. Ma Ana è una figura evanescente e romanzesca, rappresenta da subito un sogno erotico facilmente accessibile, concedendosi al libraio, ma non sarà mai definibile, inquadrabile una volta per tutte, sarà sempre una figura sfuggente, misteriosa, che cambia ogni volta le carte in tavola come se iniziassimo la lettura di un nuovo romanzo. Ana è la letteratura. Ed è lei a raccontare come Borges avesse l’abitudine di inserire note nei libri che leggeva, sopratutto dei testi sacri, note che poi rappresentano l’inizio e la fine dei suoi romanzi e racconti. Felipe Hirsch riempe il film anche di queste figure fonetiche, Aleph e Zahir, inizi e fini degli alfabeti, e l’oggetto del film, Ana, è un nome palindromo. E il finale di Severina è un nuovo inizio, un nuovo libro da iniziare. Si torna alla prima parte e si delinea uno sviluppo alternativo alla storia che forse era stata un sogno. La saracinesca della libreria è nuovamente chiusa, ma si sviluppa quel dialogo scritto tra il frontespizio e la seconda copertina: il cinema è diventato ancor di più un libro.

Giampiero Raganelli

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