Che la conoscenza mi illumini
All’annuncio della line-up del Festival di Cannes 2023, al di là della lettura della solita sfilata di grandi nomi e di titoli più o meno attesi, ricordiamo che ci fece moltissimo piacere scoprire della presenza all’interno del programma della sezione “Un Certain Regard” di Se solo fossi un orso. Questo perché nel caso del lungometraggio d’esordio della regista Zoljargal Purevdash si trattava del primo film proveniente dalla Mongolia ammesso in Selezione Ufficiale sulla Croisette. Non era mai accaduto, motivo per cui la curiosità nei confronti della pellicola in questione era piuttosto alta. Ed è rimasta tale fino a quando abbiamo finalmente avuto la possibilità di recuperarla grazie alla Trent Film che ha deciso di distribuirla nelle sale italiane a partire dal 14 marzo 2024 dopo il successo di pubblico e di critica ottenuto in quelle francesi e la discreta visibilità avuta nelle altre kermesse festivaliere dove nel frattempo è transitata, tra cui quella di Gerusalemme dove si è aggiudicata il premio per la migliore opera prima.
Se solo fossi un orso racconta la vicenda di Ulzii, un adolescente che vive nei sobborghi poveri di Ulan Bator, capitale della Mongolia. Dotato di un Q.I. superiore alla media, il ragazzo è determinato a vincere un concorso di fisica per ottenere una borsa di studio, mentre la madre, analfabeta, ha trovato lavoro altrove, abbandonando lui e i suoi fratelli nel pieno del rigido inverno mongolo. Combattuto tra la necessità di prendersi cura dei fratelli e il desiderio di studiare per il concorso e per il suo futuro, Ulzii dovrà accettare un lavoro rischioso per aiutare la sua famiglia.
Quella portata sugli schermi dalla Purevdash è la storia di riscatto di un ragazzo che non si arrende davanti a niente e nessuno, nemmeno davanti alle continue difficoltà della vita e del quotidiano che affronta per il suo futuro e per l’amore dei suoi affetti. Le dinamiche e le tematiche universali trattate con grande delicatezza dall’autrice sono dunque quelle del romanzo di formazione, che si traducono e trasferiscono in uno spaccato dolce e toccante sull’esistenza di un ragazzo che non vuole rassegnarsi al destino di povertà a cui sembra condannato. Ne germogliano emozioni a getto continuo che accarezzano, pizzicano e al contempo scaldano le corde del cuore, facendole vibrare e suonare fino a lasciare il segno nello spettatore di turno. Quest’ultimo viene investito da emozioni cangianti nel corso di una fruizione che alterna momenti di forte dramma ad altrettanti di gioiosa apertura alla vita e alla speranza. Il ché consente all’asticella del termometro emotivo e al livello di coinvolgimento del pubblico rispetto agli accadimenti e agli stati d’animo del protagonista (un convincente Battsooj Uurtsaikh, qui al suo debutto) di salire e scendere d’intensità.
Ma Se solo fossi un orso è anche un’opera intima e personale che ha portato l’autrice ad ambientare la vicenda negli stessi luoghi laddove è nata e cresciuta. Ciò le ha consentito di parlare un po’ di se stessa e delle sue origini, trasformando la figura di Ulzii in un alter-ego cinematografico attraverso il quale raccontare dei capitoli del suo passato, oltre che sollevare una questione assai spinosa e urgente legata alla terra dalla quale proviene. Ulan Bator è infatti la capitale più inquinata del mondo, con oltre il 60% dei cittadini che vive nel Distretto delle Iurte (le case mobili dei nomadi mongoli, ndr) dove non sono presenti sistemi di riscaldamento o infrastrutture, e dunque si è costretti a bruciare carbone per sopravvivere alla temperatura di – 35° del brutale inverno mongolo. La regista ha quindi usato la cassa di risonanza della Settima Arte per fare arrivare più lontano possibile l’eco di un tragedia umana, sociale e ambientale davanti alla quale non si può e non si deve rimanere indifferenti. Tutto questo bagaglio di emozioni e di spunti di riflessione del quale il film si è fatto carico e veicolo non fanno altro che aumentare il valore intrinseco di un’opera tanto importante quanto preziosa.
Francesco Del Grosso