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Romanzo di una strage

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VOTO: 8.5

Per non dimenticare

«Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969»
14 novembre 1974. “Il romanzo delle stragi” – Pier Paolo Pasolini (1)

E’ un filo rosso inscindibile quello che lega Marco Tullio Giordana a Pier Paolo Pasolini e a manifestarlo non è solamente l’omaggio che il cineasta gli rende intitolando la sua ultima pellicola Romanzo di una strage (lo stesso aveva fatto con La meglio gioventù). Le parole del memorabile articolo pasoliniano ci riportano indietro nel tempo a una delle ultime scene di  Pasolini – Un delitto italiano (1995) ed in particolare alla memoria di parte civile stilata dagli avvocati Guido Calvi e Nino Marazzita. Allora come ora alla macchina da presa è affidato il compito di addentrarsi nelle pieghe misteriose della Storia con la “s” maiuscola che si intreccia con le piccole storie che ne costituiscono il motore. Un leitmotiv che Giordana ha iniziato a creare sin dal suo esordio, Maledetti vi amerò (1980), guidato dallo sguardo di trentenne che guarda con riso amaro alla generazione del ’68 – quella che ha caratterizzato la sua giovinezza determinandone (molto probabilmente) l’imprinting.
A distanza di quarantatré anni, Marco Tullio Giordana, con sguardo lucido e al tempo stesso commosso di chi ha raggiunto la maturità artistica e continua a scavare, fa i conti (e ce li fa fare) con la strage di Piazza Fontana – avvenuta alle 16.37 di venerdì 12 dicembre del 1969 – andando a porre il tassello mancante a quel magnifico affresco che ci aveva offerto con La meglio gioventù. Ci preme sottolineare che si potrebbero spendere fiumi di inchiostro su Piazza Fontana (ed è già stato fatto), obiettare che sarebbe stato opportuno affrontare quella piaga e quegli anni in un modo diverso, imputare delle mancanze di tipo giudiziario, ma non è compito nostro (e non lo fa il film) decretare i colpevoli impuniti o emettere una sentenza. Romanzo di una strage porta in sé la consapevolezza storica che nasce da quel “io so” pasoliniano, oggi in molti sanno e possiamo dire che, ancor più dopo la visione di Romanzo di una strage, “noi sappiamo”. Il regista de I cento passi compone la messa in quadro seguendo una struttura ben precisa, fornendo allo spettatore una sequenza “preludio” con cui già traccia la pista narrativa che intenderà percorrere per poi addentrarsi in una suddivisione per capitoli. Fedeli all’idea stessa di “romanzo” il regista (anche co-sceneggiatore) e gli sceneggiatori (Rulli e Petraglia) incasellano tra due morti le pedine del gioco delle parti messo in scena in quegli anni (da “autunno caldo” ad “alta tensione”) creando così una struttura ciclica. Assistendo agli scontri tra polizia e manifestanti presso il Teatro Lirico di Milano nel ’69 sembra di rivedere le dinamiche degli scontri a Torino nel ’74 messi in scena ne La meglio gioventù, figli di quella bomba (o bombe) alla Banca Nazionale dell’Agricoltura. Giordana fa una scelta di campo per ricostruire gli eventi storici, segue in particolare le vite parallele e gli incroci di due uomini speculari l’uno all’altro, il commissario Calabresi (Valerio Mastandrea) e l’anarchico ferroviere Pino Pinelli (Pierfrancesco Favino). Due uomini che sì stavano dalla parte opposta della barricata, ma che sapevano cosa fosse il rispetto umano; accanto a loro due mogli, Gemma Calabresi (Laura Chiatti) e Licia Pinelli (Michela Cescon), capaci di stare vicino alla persona amata anche nei silenzi – mai sinonimi di vuoto. Romanzo di una strage ne restituisce la loro dimensione pubblica, si anima di interrogativi e dubbi – dai responsabili della strage di Piazza Fontana alle dinamiche della morte di Pino Pinelli (2) – per cercare la verità. Giordana ci guida in questa ricerca grazie a una regia misurata, ad un cast artistico e tecnico che emana la consapevolezza dell’impegno civile per cui Romanzo di una strage merita senza dubbio un elogio – funzionale a questo prenderci per mano risulta essere, infatti, il gioco sulle focali, in particolar modo in alcune inquadrature chiave. Nella seconda parte, colorata di toni da legal-thriller, cade a tratti in sottotono giustificabile però, se si tiene conto della mole di atti, documenti e letteratura da condensare in poco più di due ore. Così dove la verità non può arrivare corre in aiuto la verosimiglianza ed a questo assurge anche l’interpretazione di Fabrizio Gifuni in una mimesi totale col personaggio (anche se sarebbe più opportuno dire “persona”), restituendoci un Aldo Moro Ministro degli Esteri forse “colpevole” del «peccato di disperazione».
Non bisogna mai dimenticare che l’arte, il cinema sono una rappresentazione della realtà fino a concedersi di andare oltre la realtà. Giordana racconta della sua e della nostra storia, lo fa con lo sguardo di un figlio di quel tempo – divenuto nel frattempo padre in questo tempo, col coraggio intellettuale della verità e la pratica politica che Pasolini tanto ricercava dandoci la possibilità – soprattutto a noi giovani – di far memoria di un recente passato caduto nell’oblio e fatto di vite umane. Impossibile esaurire qui ciò che Romanzo di una strage è, impossibile esaurire ciò che Piazza Fontana ha significato in un film – e Romanzo di una strage non ha questa pretesa; possiamo solo accogliere l’invito a ricercare indietro per capire il nostro presente, a non dimenticare quei morti ammazzati e a riconquistare la fiducia nelle istituzioni. «Il resto è silenzio».

Maria Lucia Tangorra

NOTE
1  Articolo pubblicato sul “Corriere della sera” col titolo: “Che cos’è questo golpe” e successivamente col titolo “Il romanzo delle stragi” in “Scritti corsari”, pp.88-93
2  Notte 15-16 dicembre 1969 verso Mezzanotte Pinelli precipita dalla finestra dell’ufficio di Calabresi e muore poco dopo all’Ospedale Fatebenefratelli

 

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