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Robuste

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VOTO: 5.5

Quella strana coppia

George è un anziano attore sul viale del tramonto, Aïssa un’agente di sicurezza ed ex pugile semi professionista. Quando il braccio destro di George si assenta per diverse settimane, Aïssa viene subito scelta per sostituirlo. Tra la giovane e pragmatica guardia del corpo e il nostro celebre attore disincantato si instaura un singolare legame. La vita li ha resi più simili di quanto pensassero.
Quello che va in scena in Robuste e che si può leggere in queste poche righe di sinossi che ne hanno accompagnato la circuitazione nei festival, tra cui la Semaine de la Critique di Cannes 2021 e il 12° Bif&st, ha come protagonista la strana coppia di turno. In tal senso non c’è cinematografia al mondo che ieri come oggi non abbia portato sul grande schermo il gioco degli opposti, tanto nelle commedie sentimentali quanto in quelle a sfondo sociale. Ad esempio la screwball comedy dei bei che tempi che furono ci ha costruito intere filmografie, mentre per la produzione francese più recente ha rappresentato e continua a rappresentare un pozzo inesauribile dalla quale attingere e che ha dato alla luce pellicole come Giù al Nord o Quasi amici. La stessa scia alla quale si è accodata anche l’opera prima di Constance Meyer.
Il film si regge infatti sul più classico degli scontri tra due esistenze agli antipodi, al quale segue l’altrettanto classico incontro maturato dopo un lento e timido percorso di avvicinamento. Un percorso, questo, pieno di ostacoli emotivi, incomprensioni e piccoli-grandi attriti che lo hanno in più di un’occasione messo in discussione. Insomma niente di nuovo su quelle che possono essere le dinamiche narrative e drammaturgiche alla base dello script e della sua trasposizione. Niente che la platea di una sala cinematografica non abbia già udito e visto scorrere davanti ai propri occhi. Non fanno eccezione quelle affidate alla coppia formata da Gérard Depardieu e Déborah Lukumuena, che con colpi al di sopra e al di sotto della cintura riesce solo in parte a divertire e a coinvolgere emotivamente il fruitore. Se da una parte l’attrice parigina mette nuovamente in mostra le sue indubbie qualità, che le hanno permesso di conquistare un meritato César nel 2017 con la performance in Divines, calandosi nei panni di una gigante dalla corazza fragile, dall’altra il più navigato connazionale si cuce addosso un personaggio decisamente stereotipato e bidimensionale, che non offre nulla di significativo.
Ciò che resta è un racconto agrodolce sulla solitudine, l’incomunicabilità, il confronto generazionale e il bisogno incondizionato di affetto. Un magma di temi universali che in Robuste non si esprime a parole, ma con gesti e silenzi. Il ché evita un certo didascalismo, ma che di contro rimane cristallizzato per l’incapacità dell’autrice di generare calore. Le buone intenzioni rimangono tali e la visione gelida.

Francesco Del Grosso

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