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Ritorno al bosco dei 100 acri

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VOTO: 7

Il posticino delle fragole

Va dove ti porta il cinema: per quelle vie del destino a prima vista imperscrutabili, la scenario naturale che è stato teatro della creazione di Winnie the Pooh e tutti gli altri personaggi partoriti dalla penna di A.A. Milne negli anni venti del secolo scorso sta divenendo qualcosa di ben radicato nell’immaginario spettatoriale. Tutto ciò grazie a due lungometraggi molto diversi tra loro – anche in quanto ad esito qualitativo – come Vi presento Christopher Robin (2017) di Simon Curtis e questo Ritorno al bosco dei 100 acri (titolo originale proprio Christopher Robin) di Marc Forster. Se il primo film non riusciva ad uscir fuori dalle secche del biopic ben confezionato sul rapporto padre/figlio ma sostanzialmente inerte nella lettura della “creazione” artistica, in questo Ritorno al bosco dei 100 acri assistiamo ad un radicale cambio di prospettiva. Al centro del discorso c’è sempre Christopher Robin, cioè il figlio di A.A. Milne, alla cui fantasia dobbiamo in qualche modo la nascita dei celebri personaggi quali Winnie the Pooh, Tigro e compagnia allegra. I quali, stavolta, irrompono addirittura nel mondo reale per reclamare un ritorno ai valori importanti dell’ormai imborghesito quarantenne Christopher Robin, interpretato – da adulto, dopo un breve prologo introduttivo sull’infanzia e l’importanza degli amici a mitigarne la solitudine nell’ambito del fatato bosco – con la consueta professionalità da Ewan McGregor.
Ci troviamo dunque in zona fantasy dal sapore piacevolmente retrò, visto che l’interazione tra attori in carne ed ossa – c’è anche la bellissima Hayley Atwell ad interpretare la moglie di Christopher Robin – e pupazzi, sia pur riveduti e corretti con l’ausilio della computer graphic, ci riporta di getto nel passato, ai gloriosi tempi dell’inarrivabile cult Labyrinth (1986), firmato dal papà dei Muppet Jim Henson, tanto per citare un titolo. Purtroppo non c’è più né l’innocenza né la complessità dei prodotti di quegli anni, ma Ritorno al bosco dei 100 acri rappresenta comunque un piacevole prodotto, una sorta di inno dedicato all’importanza di non perdere il contatto con il proprio background di appartenenza. A dispetto delle mere apparenze, materiale senza dubbio buono per l’ex promessa del cinema hollywoodiano Marc Forster, tedesco di nascita ma emigrato negli States e quasi subito fattosi notare con il dramma Monster’s Ball (2001), poi smarritosi in un’inefficace rincorsa alla sintesi tra un cinema personale ed uno commerciale, compiutasi attraverso svariati generi esplorati. Del resto la difficoltà della crescita era argomento trattato anche nel suo Neverland (2004), altro biopic sui generis incentrato sull’esistenza in costante bilico tra realtà e finzione di James Matthew Barrie, scrittore e drammaturgo scozzese meglio conosciuto come creatore di Peter Pan.
Al netto delle semplificazioni marca Disney – che produce – Ritorno al bosco dei 100 acri risulta comunque un’opera molto elaborata a livello formale, capace di funzionare anche sul piano di un significato più sottile e profondo. La fantasia, in fondo, è l’unico elemento in grado di fungere da comunicazione diretta tra padri e figli, come si renderà conto lo stesso Christopher Robin alle prese con un rapporto affatto semplice con la figlioletta, pronta ad accusarlo di aver smarrito proprio tale fonte di eterna giovinezza e di essersi perciò inaridito nel suo dedicarsi ossessivamente al lavoro. Nulla di nuovo sotto il sole, quindi; ma presentato in modo garbato, oltre che in confezione raffinata. Per un film che non delude sul piano del puro intrattenimento e, nel contempo, offre qualche, per nulla banale, spunto di conversazione in seno alla sacra istituzione della famiglia di tipo pedagogico sui modelli di comportamento da adottare nei confronti della discendenza. Un’opera, allora, che merita una visione, di quelle che una volta si sarebbero appunto definite “per famiglie” e non nel senso spregiativo del termine, anzi.

Daniele De Angelis

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