Sodomia post franchista
Anche il cinemabis battente bandiera spagnola offre un intrigante assortimento di pellicole bizzarre. Sono almeno due gli autori che hanno lasciato un indelebile segno in tale ambito, e ambedue sono anche riconosciuti e venerati fuori dai propri confini nazionali. Il primo è Jesús Franco (1930-2013), con una filmografia che consta di oltre 200 pellicole, realizzate nell’arco di oltre cinquant’anni. Fu assistente – stimato – di Orson Welles e ha affrontato tutti i generi, anche la pornografia, con risultati molto – troppo – discontinui, ma ciò non toglie che anche nella pellicola più miserrima ci sia un fulmineo lampo di geniaccio. L’altro baluardo cinematografico è José Ramón Larraz (1929-2013), fumettista, fotografo e infine regista. Con Jess Franco condivide solo l’anno di morte (come a significare la cessazione definitiva di un certo cinema), perché Larraz ha avuto un curriculum filmico meno prolifico, distinguendosi prevalentemente con due generi: l’horror e l’erotico. In pratica il binomio Fear and Desire, che fa leva sulle due principali pulsioni di uno spettatore. Nella sfera dell’erotico risalta uno scult, o cult a parere di altri palati cinefili, ovvero Sodomia (La visita del vicio, 1978).
Pellicola post-franchista, ubicata nel periodo di transizione democratica, quando le maglie della censura spagnola concedevano un poco di più in ambito erotico, La visita del vicio, benché realizzato con un budget esiguo, è il vero tentativo autoriale di Larraz. Tralasciando il titolo pornografico dato dalla distribuzione italiana, che va subito al sodo promettendo agli spettatori gonzi qualcosa che nel concreto non c’è, il titolo originale è più lascivo e sensuale, rimarcando come il vizio (inteso come sesso) facilmente si possa insinuare nella tranquillità quotidiana. Sceneggiato da Larraz medesimo, su un soggetto di una misteriosa Monique Pastrynn, Sodomia è un dramma a forti tinte erotiche ed emotive, con soltanto tre personaggi protagonisti: due fascinose figure femminili e un sensuale ragazzo. Le due donne sono profondamente differenti, sia per ceto sociale (una benestante e bianca, l’altra di umili origini e meticcia) e sia per età. Il ragazzo rappresenterebbe l’elemento disturbante o per meglio dire conturbante. Quando uscì, quello che intrigò principalmente fu l’aspetto erotico, che per quell’epoca era molto spinto: nudi integrali delle due donne (Full Frontal) e del ragazzo (sempre di profilo), due scene di sesso calde tra Lorna e Chico e gli approcci lesbici tra le due protagoniste. Quello che oggi, dopo oltre quarant’anni, interessa maggiormente è il serio tentativo autoriale di Larraz, che si manifesta a livello di script e di messa in scena. Non c’è solamente un discorso psicologico (la gitana Triana ha paura degli uomini e ha sogni perturbatori), ma anche il tentativo di inserire un discorso sulla lotta di classe, in cui i poveri sconfiggono la borghesia, come evidenzia il cruento finale. Non va dimenticato che la borghese Lorna, single da molto tempo che cede alla sessualità di Triana, la blandisce comprandogli oggetti preziosi (un nuovo vestiario e una collana). Chico, anch’esso di origini gitane, sarà quello che rovinerà quell’equilibrio sessuale che si era creato tra le due, spezzando, con il (suo) sesso, quella relazione. Lorna palesa la sua mentalità borghese, cedendo rapidamente al ragazzo e mettendo da parte Triana (torna a fare le pulizie), come se fosse stata solamente un’adolescenziale avventura. Per quanto riguarda la regia, Larraz vuole amplificare le atmosfere descritte nella sceneggiatura, con una messa in scena raffinata, tesa nei momenti in cui i personaggi si confrontano, e con ampi slanci verso un onirismo pseudo buñueliano (il sogno di Triana, nuda dentro un cavallo d’oro). Non manca nemmeno il simbolismo, rappresentato tanto in Chico nudo a cavallo (figurazione dell’uomo selvaggio) quanto nella scena del flamenco, quando due donne, una in abiti maschili e l’altra in quelli femminili, danzano rivaleggiando. Le erudite premesse de La visita del vicio rimangono nelle intenzioni, e il volo pindarico di Larraz è una caduta verso il basso, proprio per l’esposizione di tanti articolati argomenti espressi però in modo spiccio.
Roberto Baldassarre