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Reside

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VOTO: 8

Le lacrime della magia nera

In un’edizione del Far East Film Festival che ha visto ancora, fortunatamente, la presenza di thriller e film dell’orrore realizzati in più paesi dell’estremo oriente, si è fatto comunque a meno di quell’horror day che compariva in programma fino a qualche anno fa. I lungometraggi in questione sono stati cioè sparpagliati nell’arco di tutto il festival. Vista la qualità non sempre eccelsa di tali prodotti, è un peccato che quello a nostro avviso più incisivo (assieme, volendo, all’atmosferico Eerie del giovanissimo talento filippino Mikhail Red) sia stato relegato a un orario non proprio felicissimo: le 9 di mattina del 2 maggio. Ma a Udine i più mattinieri sono stati comunque ricompensati da una visione fuori dall’ordinario. Reside sancisce infatti, a nostro avviso, la completa resurrezione artistica di Wisit Sasanatieng, uno dei pionieri del New Thai Cinema.

Il regista del cult assoluto Le lacrime della tigre nera, realizzato nel lontano 2000, in anni a noi più vicini non sempre era risultato così convincente. Ed è quasi un eufemismo, il nostro. Con Reside è arrivato invece un horror dall’insolita cura formale e dalle atmosfere magnetiche. Ciò appare chiaro sin dalla prima, magnifica inquadratura: un intenso piano sequenza, caratterizzato da quella lentissima zoomata – correlata poi a un movimento inverso della macchina da presa – sugli oggetti di un inquietante “set” da magia nera, cui l’ossessivo accompagnamento musicale dona un mood ieratico, tenebroso e disturbante, che resterà intatto per quasi tutto il film. Quasi una dichiarazione di poetica, insomma, per un’opera che pur partendo dal tema delle possessioni demoniache e degli spiriti vaganti nella foresta, alquanto diffuso nel cinema di genere del sud-est asiatico, sembra occhieggiare agli stilemi tipici di autori come Dario Argento, Sam Raimi, Nakata Hideo, William Friedkin  e Wes Craven.
Riti malefici. Tensioni spirituali. Scontri di personalità all’interno di un’eccentrica setta. Azzardi d’ogni tipo nei confronti del poco addomesticabile mondo degli spiriti. Tutto questo va a caratterizzare gli eventi terribili che colpiscono, nel giro di poche ore, l’Infinity Spiritual Center, coinvolgendo la carismatica proprietaria dell’alquanto sinistro centro olistico (da tutti chiamata “La Madre”) e i suoi sventurati discepoli, i cui reali rapporti interpersonali emergeranno poco alla volta. Dando luogo così a un’efficacissima strategia della tensione. Il navigato cineasta thailandese è pertanto tornato alla ribalta con inusitato vigore, innestando la propria vena cinefila e certe coloriture pop, sempre presenti nel suo fare cinema, in un racconto dell’orrore pieno di spaventevoli mutazioni e, almeno a tratti, realmente da brividi.

Stefano Coccia

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