Dove finisce la realtà? Dove inizia la finzione?
New Orleans ed una delle tante storie di uno dei suoi numerosi abitanti. Una giovane donna con un difficile passato alle spalle. Il suo lavoro come infermiera in ospedale. Il talento per il canto. Un canale youtube. Un grande sogno nel cassetto. Ma non finisce qui. Spostandoci dall’altra parte del mondo – per la precisione a Tel Aviv – troviamo un giovane musicista che sembra accorgersi per primo del talento della ragazza, guardando i suoi video su internet. Ed ecco che prende vita un insolito progetto musicale. Questa singolare storia viene raccontata nel documentario Presenting Princess Shaw, diretto da Ido Haar e presentato al Visioni Fuori Raccordo – Rome Documentary Fest 2016 all’interno della sezione Visioni Internazionali_HomeLANDS.
La protagonista di questo ultimo documentario di Haar è la giovane cantante Samantha Montgomery – in arte Princess Shaw – la quale, nonostante un passato difficile e malgrado la sua solitudine, non ha mai smesso di sognare. Ed ecco che ritroviamo una Cenerentola moderna, la cui storia di sicuro riuscirà ad entrare in sintonia con milioni di spettatori. Perché, di fatto, Presenting Princess Shaw è – e vuole essere – principalmente questo: una favola dal lieto fine agrodolce con una morale che ci dica di non smettere mai di credere in noi stessi e nei nostri sogni. Ottime intenzioni, senza dubbio. Il principale problema di questo documentario di Haar, tuttavia, è proprio l’approccio del regista stesso con la storia che gli si è presentata davanti. Ma andiamo per gradi.
Sebbene la scelta di restare “dietro le quinte” per tutta la durata della pellicola sia, spesso e volentieri, una giusta trovata, la decisione di dare a Presenting Princess Shaw la forma di un lungometraggio di finzione ha purtroppo fatto perdere al tutto quell’iniziale appeal che una storia come quella della giovane Samantha avrebbe potuto avere. Perché, di fatto, il modo in cui le vicende si sviluppano ricorda proprio uno dei tanti poco fortunati teen movies americani, uno uguale all’altro, che, appunto, raccontano le storie di chi ha un sogno apparentemente impossibile da realizzare inerente il mondo dello spettacolo. Sia ben chiaro, nulla a che vedere con pellicole come Flashdance o Dirty Dancing, bensì proprio lungometraggi del genere di Honey –interpretato da una giovanissima Jessica Alba – o, addirittura, sulla linea dell’imbarazzante The Last Song, con Miley Cyrus.
Ciò che, appunto, maggiormente contribuisce a rendere questo effetto sono scene eccessivamente costruite, al punto di essere poco credibili – come il momento in cui Samantha incontra alcuni suoi parenti e ricorda con loro la propria infanzia, oppure quando la ragazza conosce di persona il musicista Kutiman, che l’ha resa celebre e, con un montaggio alternato, vediamo diversi momenti in cui i due si esibiscono insieme durante numerosi eventi a Tel Aviv. Per non parlare di alcuni escamotages che fanno intendere che tra il musicista e la cantante ci sia del tenero – cosa peraltro non vera – al fine di dare al tutto un tocco altamente romanzato.
Peccato che una vicenda interessante come questa sia stata messa in scena in un modo tanto banale e così poco onesto. Dato il tema trattato, inoltre, alla fine della visione è molto facile che la mente torni al fortunato – e molto ben realizzato – Searching for Sugar Man, dello svedese Malik Bendjelloul. Ma questa, ovviamente, è un’altra storia.
Marina Pavido