C’è del marcio a Parigi
Nel precedente film di Olivier Assayas, Sils Maria, un dialogo tra le due protagoniste appare come enunciazione programmatica di quello che sarebbe stato il nuovo progetto del regista francese. Valentine perora la causa di un film sui mutanti nello spazio sostenendo come possa esserci molta più verità nel genere fantascientifico o fantasy piuttosto che in quelli che vengono considerati film seri. Sono opere, quelle di genere, che usano simboli e metafore, che esplorano soggetti a carattere psicologico al pari degli altri film. Sappiamo bene inoltre quanta profonda sia la conoscenza di Assayas sul cinema orientale, anche per la sua attività saggistica. E non devono quindi essergli sfuggiti i j-horror con i derivativi americani tipo The Call, dove i fantasmi fanno allegramente uso di cellulari, e ora di smartphone, per chiamare i poveri mortali. Personal Shopper sembra configurare un j-horror psicologico ed esistenziale 2.0, dove i fantasmi del passato fanno capolino nella vita frenetica di una ragazza che vive nel mondo chic dell’alta moda, dove l’indagine paranormale passa per ricerche con google immagini.
Maureen è un’americana a Parigi, dal bizzarro lavoro, è la personal shopper di una celebrità. Lavoro che la porta a continui viaggi, a frequentare il mondo chic delle grandi firme, eleganti boutique, gioiellerie e atelier di moda, e che le garantisce una vita agiata come dimostra il suo bell’appartamento. Vive in un ambiente in cui si parla inglese, un ambiente internazionale. In continuo spostamento, in motorino nelle strade cittadine, in treno, in alberghi. Personal Shopper è in primo luogo un film sulla contemporaneità urbana, sulla solitudine esistenziale di un ambiente frenetico e nevrotico, sull’incomunicabilità da un lato e sulla comunicazione filtrata attraverso strumenti quali lo smartphone. Maureen, nel ritratto che ne fa Kristen Stewart è sola, nevrotica, ha sempre uno sguardo basso, triste. Si abbandona, sola in casa, in atti di autoerotismo. Maureen è anche una medium in grado di comunicare con le anime dei defunti, una medium 2.0, una ragazza in carriera in una Parigi da bere, molto lontana dall’aspetto gotico di questa figura leggendaria. Ci viene presentata mentre torna nella villa di famiglia, che pure denota anche un ambiente famigliare altolocato, e passa la notte da sola, percependo una presenza fantasmatica di cui cercherà un contatto, quella del fratello gemello Lewis, morto da pochi mesi.
Olivier Assayas conduce un’operazione molto attenta a non eccedere lo spazio d’archiviazione dello spettatore in termini di fantasmi e soprannaturale. Solo una volta vediamo l’ectoplasma con un effetto digitale preso paro paro da un horror contemporaneo, giocando per un attimo con il cinema di genere e i suoi spaventosi e orrendi spiritelli. Una trasparenza, un’evanescenza che fa il paio con quella, ora a carattere oggettivo, scientifico, dell’ecografia di Maureen, del suo ventricolo. Che visualizza il fantasma della morte del fratello gemello per attacco cardiaco, che lei stessa rischia per la stessa malformazione congenita. Da cui viene messa in guardia dal medico che le ‘prescrive’ di evitare emozioni intense. La trasparenza che confluirà nell’evaporazione finale, la luce totale, la vacuità, il bianco, che promana dalle casette di Marrakech che inghiotte tutto. Per tutto il resto le presenze eteree non sono mai mostrate oggettivamente, ma sono dedotte da reazioni di causa ed effetto. Porte a fotocellula (ancora i fantasmi in un contesto tecnologico moderno) che sembrano aprirsi da sole, soggettive, bicchieri che lievitano, o i classici colpi da battere. Ma soprattutto i dialoghi lunghissimi di messaggi sullo smartphone che rappresentano l’intelaiatura drammaturgica del film. E si cercherà di sconfiggere gli spiriti semplicemente rimuovendo una sim, altro che Ghostbusters!
Il sovrannaturale del film viene nobilitato da Olivier Assayas da un substrato culturale, letterario e filosofico ma che nulla ha a che vedere con il genere gotico. Le radici culturali di spiritismo, occultismo e metafisica cui si dedicò a lungo Victor Hugo nel suo esilio sull’Isola di Jersey. E il regista francese evoca anche la figura di Hilma af Klint (1862-1944), grande nome dell’arte astratta che sosteneva di dipingere con la mano guidata dall’aldilà. In un contesto asettico e febbrile come quello contemporaneo, governato da razionalismo e positivismo, gli sprazzi di irrazionalità e di rottura vengono dall’esumazione dei fantasmi tanto dalle composizioni cromatiche di Kandinsky quanto dalle antiche scienze esoteriche e teosofiche. “Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, che non sogni la tua filosofia” dice Amleto.
Poco importa in definitiva se gli spettri di Personal Shopper siano veri o apparizioni mentali della protagonista, sublimazioni della sua solitudine o anticipi della sua morte. Assayas si pone sullo stesso piano del Clint Eastwood di Hereafter, usando il sovrannaturale per mettere a luce fantasmi, e rimossi, delle vite nella società contemporanea.
Giampiero Raganelli