Colpo di fulmine effimero
L’immediata sensazione che sorge, appena scorrono i titoli di coda, è che Perdrix di Erwan Le Duc sia stata una pellicola non pienamente riuscita. Lo stimato french touch indubbiamente aleggia in questa commedia romantica, ma purtroppo si rivela sbiadito, non riuscendo a intensificare quegli spunti comici e quegli aspetti riflessivi insiti nella storia. La “colpa” di questo mancato buon esito potrebbe essere imputato all’acerbità del regista, autore anche della sceneggiatura, che precedentemente aveva realizzato solamente alcuni cortometraggi, ma la “colpa” è anche nell’aver scelto una tematica abusata (l’amore) e aver cercato di declinarla in una commedia spiritosa nell’andamento e riflessiva nel suo intimo. I momenti migliori sono proprio quelli che scaturiscono dalle scene sferzanti, che compaiono inaspettatamente nel tranquillo paesaggio del piccolo borgo francese in cui si svolge la vicenda. Una comicità demenziale pungente nell’effetto (a livello di gag visiva), ma ben servita per la gentilezza del tocco, cioè la costruzione della gag.
In questa pacata cittadina, in cui i massimi discorsi ruotano intorno alle condizioni meteorologiche, l’elemento scatenante, o sarebbe più opportuno quasi dire un cataclisma, non è la masnada di nudisti duri e puri che minaccia la routine quotidiana (la popolazione ormai ci si è abituata), ma l’entrata in scena della giovane Juliette (Maud Wyler), che con il suo carattere ruvido risveglia l’indolente capitano dei Gendarmi Pierre Perdrix (Swann Arlaud) e, di riflesso, la sua famiglia. Sebbene il nucleo familiare Perdrix sia bislacco di suo (ad esempio la madre ha creato una trasmissione radio per cuori solitari che in pratica nessuno ascolta), Juliette è quella che li sprona a lasciarsi andare veramente. Implicitamente lei è una portatrice (non propriamente salubre) del noto e necessario “carpe diem”, che nei riguardi di Pierre si palesa come un tonante “colpo di fulmine” che gli dona la giusta linfa vitale e lo fa crescere (invece dell’usuale stordimento amoroso che rende ebeti). E anche gli altri due componenti della famiglia, il fratello e la nipote, si persuadono a uscire da quell’inutile utero fitto di ricordi, come testimonia il quadro artistico raffigurante il padre/nonno che si staglia sopra il tavolo in cui si riunisce abitualmente la famiglia. Se il pavido e mediocre fratello comprende i suoi errori paterni, la giovanissima nipote preferisce rinchiudersi in un collegio per cominciare una nuova vita lontano e poter maturare. Questa è la parte meditativa – punteggiata da pigli comici – che maggiormente non funziona e sovraccarica la storia, proprio perché cerca di esprimere qualcosa di profondo con toni ironici, ma il discorso si rivela velleitario nei risultati. Molto meglio quando Perdrix si lascia andare alle svagate scene comiche, come ad esempio i nudisti integralisti che combattono a loro modo il capitalismo (questa è un’idea che, se sviluppata pienamente, avrebbe generato un’ottima commedia) oppure gli scanzonati gendarmi ripresi nella loro quotidianità grigia. Anche le scene in cui alcuni abitanti ricreano, in modo demenziale, una battaglia tra il fronte francese e il fronte nazista è una divertente trovata che descrive bene certi nostalgici del passato. In poche parole, Perdrix, presentato al festival #Cineuropa33, avrebbe funzionato maggiormente se avesse scelto quel tocco demenziale di cui era capace Francis Veber nelle sue migliori pellicole, atte a descrivere la società francese, e dispiace vedere Fanny Ardant (icona di un cinema francese ormai passato) divertita nell’interpretare il ruolo di madre libertina, ma purtroppo impalpabile nell’interpretazione.
Roberto Baldassarre