Oltre “il quarto stato”
Non ci stancheremo mai di ripeterlo. Sbaglia chi sottovaluta, soprattutto tra gli addetti ai lavori, quei documentari inerenti alla Storia dell’Arte, programmati generalmente al cinema per soli tre giorni. Alcuni possono magari risultare scolastici, didascalici, ma anch’essi riescono ad arricchire le conoscenze dello spettatore rispetto a determinati autori, correnti, periodi storici. Ogni tanto però salta fuori pure qualche documentario esteticamente più ricercato, tale da risultare sorprendente persino sul piano del linguaggio cinematografico. Fu così per Caravaggio – L’anima e il sangue del messicano Jesus Garces Lambert. Mentre è toccato a Pellizza pittore da Volpedo di Francesco Fei, in questi giorni, rinverdire simili fasti inondando lo schermo di bellezza, lirismo e tenue malinconia.
Del resto abbiamo approcciato la visione del film con notevole fiducia, appena saputo che vi era proprio il fiorentino Fei dietro la macchina da presa; un cineasta, cioè, dal percorso interessantissimo sia sul fronte documentaristico che per quanto concerne il cinema di finzione, “inaugurato” già nel 2005 con un autentico gioiellino ambientato a Genova, Onde.
Negli ultimi anni Francesco Fei si è dedicato parecchio al documentario d’arte, spesso intramezzato da momenti di fiction, il fatto poi che tra queste opere vi sia Segantini, ritorno alla natura (2016) dimostra quanto l’autore sia attratto da un un periodo dell’arte pittorica e della Storia d’Italia davvero particolare, denso di cambiamenti. Di Giovanni Segantini fu infatti contemporaneo quel Giuseppe Pellizza da Volpedo, suo confidente nonché amico di penna, come può testimoniare la fitta corrispondenza tra loro, sulla cui opera e sulle cui tormentate vicende biografiche il regista ha spostato ora la sua attenzione.
Accennavamo a una biografia dai contorni tragici. Già presentato nel 2024 alla Festa del Cinema di Roma, finito ora nelle sale per pochi giorni quale evento speciale, Pellizza da Volpedo è un esempio di docu-fiction particolarmente stratificato e complesso, che prende le mosse proprio dal suicidio dell’artista, sulla cui decisione di togliersi la vita pesò comunque una terrificante catena di lutti famigliari. Questo tetro “orizzonte degli eventi” è però soltanto un portale, nell’opera cinematografica di Francesco Fei, che ci consente di accedere alle diverse sfaccettature di una personalità brillante, sensibile, amante della vita e degli affetti famigliari, solidale con i più deboli. Tale ritratto prende forma sullo schermo non soltanto attraverso le testimonianze di galleristi e storici dell’arte, scelti tutti con grande cura, ma tramite le letture del così fitto epistolario lasciatoci dal pittore, affidate per l’occasione a un Fabrizio Bentivoglio decisamente ispirato.
Pellizza da Volpedo è noto al grande pubblico soprattutto per Il quarto stato (1901), opera divenuta fortemente iconica e mossa da nobili intenti sociali, al pari di lavori intermedi come Ambasciatori della fame (1892) e La fiumana (1896), che a livello compositivo ne rappresentano l’antecedente dichiarato. Francesco Fei a questo dipinto entrato di diritto nell’immaginario collettivo dedica tutto lo spazio che merita, condensando peraltro in appena un’ora e un quarto questa e altre tappe significative di un percorso artistico ben più articolato, se si pensa a opere come La sfinge, Gli emigranti, Panni al sole, Passeggiata amorosa. Scopriamo così un Pellizza da Volpedo capace di passare dal “verismo” delle prime opere al “divisionismo”, di cui è stato Maestro, conservando intatto l’afflato umanista, l’inconfondibile pennellata e a latere una malinconia di fondo, così umbratile, liricheggiante, che appartiene per esempio ai suoi numerosi ritratti, sia pittorici che fotografici. Giacché a un Francesco Fei affascinato da sempre dalle diverse potenzialità insite nell’immagine, come pure nel suono (e di grande valore atmosferico risulta, non a caso, la stessa colonna sonora), la passione del nostro per la fotografia non poteva certo passare inosservata.
Centrato nei temi, ancora più sorprendente a livello formale, il film in questione. Stupisce in particolare l’armonia con cui i diversi piani (e formati dell’opera) si fondono, aggregando alla ricerca documentaria classica brevi segmenti di fiction, il cui orientamento di fondo ci viene descritto con maggior accuratezza, assieme a determinati accorgimenti tecnico/stilistici, proprio dal cineasta toscano: “Il racconto biografico dell’artista è completato da delle parti girate in pellicola bianco e nero 16mm, che simulando del found footage dell’epoca, mostrano il pittore nell’atto di dipingere nello studio, così da conferire alla narrazione una forte componente emozionale. Così facendo ritengo che il film, nei tempi come nei modi, risulti divulgativo, classico e al tempo stesso contemporaneo.”
Una scelta di notevole effetto, quella del 16mm sapientemente “invecchiato”, che si integra bene col modo in cui Francesco Fei ha voluto ritrarre l’ambiente in cui Giuseppe Pellizza ha vissuto; ovvero un piccolo comune della provincia di Alessandria, per l’appunto Volpedo, che non appare neanche troppo cambiato dal secolo scorso ad oggi, figurando tra immagini di repertorio e riprese della campagna attuale quasi come uno scoglio riemerso dalle nebbie del tempo.
Stefano Coccia