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Paper Flags

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VOTO: 6.5

Portami al mare

Si fa presto a dire enfant prodige, perché un giorno si e l’altro pure da qualche parte nel mondo ne sboccia uno. Questo per dire che si tratta di un aggettivo abusato e troppo spesso usato in maniera impropria e frettolosa per gonfiare o creare aspettativa nei confronti del regista di turno o pseudo tale. Nel caso di Nathan Ambrosioni, regista autodidatta classe 1999, il talento precoce si rispecchia in una filmografia sulla breve e media distanza di qualità e dal rilievo internazionale. Lo certificano i cortometraggi sin qui realizzati in modalità low budget, alcuni dei quali portati sul grande schermo grazie a un team di volontari durante le vacanze scolastiche e capaci, nonostante i limiti produttivi e la ridotta esperienza nel settore, di approdare in kermesse cinematografiche di prima fascia. Ma se il cineasta francese ad oggi si era misurato con il cinema di genere, lavorando principalmente sull’horror e il thriller, per la sua ultima fatica ha deciso di cambiare completamente direzione virando verso il dramma sociale a sfondo familiare.
Paper Flags, presentato in concorso al 20° Festival del Cinema Europeo di Lecce, ci catapulta al seguito di Charlie, una ragazza di quasi 24 anni che conduce una vita senza eccessi: sogna di diventare un’artista ma fa fatica a sbarcare il lunario. La sua esistenza viene stravolta quando suo fratello Vincent va a trovarla dopo dodici anni di assenza. L’uomo ha 30 anni ed è appena uscito di prigione, dove ha scontato una lunga condanna. Deve imparare di nuovo tutto sul mondo, che ormai non conosce più. Charlie è pronta ad aiutarlo: è suo fratello, dopotutto, e ha dentro una rabbia che può diventare incontrollabile e portarlo a distruggere tutto, suo malgrado.
Quella che ad una prima lettura può sembrare l’ennesima odissea casalinga incentrata esclusivamente sui temi del confronto generazionale e familiare, sull’incomunicabilità e sulla fragilità dei rapporti biologici, in realtà serve solo da specchietto delle allodole per parlare di altro e di più mirato. In tal senso, l’orizzonte drammaturgico e narrativo dai suddetti temi universali da un ampio spettro restringe il proprio campo d’azione a un argomento specifico sul quale prova ad accendere la luce e a riflettere. La pellicola del cineasta francese, infatti, continuando comunque a gravitare intorno all’incontro-scontro domestico tra due solitudini in cerca di un affetto mancato, pone l’accento sul problema del reinserimento degli ex-detenuti nella società dopo aver scontato una condanna. Abbandonati a se stessi in un mondo che non riconosco più, per quelli come Vincent il momento dell’uscita dal carcere è cruciale sotto molti aspetti: per il rinnovato contatto con il passato, il reintegro nella società, la ricerca di un lavoro, ma soprattutto la riconquista della libertà. Ambrosioni porta sullo schermo una di tante storie realmente accadute lasciandosi ispirare dalla lettura di centinaia di articoli sul tema. Per farlo condensa in una più testimonianze da lui raccolte per dare forma e sostanza allo script.
Ne viene fuori un film che riesce con cognizione di causa e onestà d’intenti a descrivere e narrare il difficile percorso di un uomo che dopo dodici anni di reclusione dovrà fare i conti simultaneamente con il passato, il presente e il futuro. Un crocevia, questo, che metterebbe a dura prova chiunque. La timeline mostra le tappe di questo percorso e strada facendo qualche ridondanza e digressione qua e là finirà con l’appesantire la fruizione, ma nulla di irreparabile al quale l’autore non riuscirà a porre rimedio. Al netto di un accumulo di finali che suona come la classica incertezza in buona fede del cineasta alle prese con il battesimo di fuoco, Paper Flags riesce a raccontare con viscerale e sincera umanità il rito di passaggio dal dentro al fuori. Questo approccio attento nei confronti del disegno dei personaggi e dei costanti mutamenti negli stati d’animo è la componente che ha permesso al film di non perdere mai la bussola anche quando il rischio si faceva più concreto. E a tal proposito il contributo attoriale della coppia formata da Noémie Merlant e Guillaume Gouix è stato fondamentale alla causa, anche ai fini emozionali. Vedi la scena forte e toccante della festa di compleanno di Charlie.
Fortemente ispirato da registi come Xavier Dolan, Jacques Audiard e Terrence Malick, con in particolare la figura del primo che in termini di linguaggio e modus operandi sembra fin troppo evidente (l’uso della musica come punteggiatura, temi e approccio visivo) tanto da impedire allo spettatore di trovare qualcosa di veramente personale nello stile che non riconduca direttamente al noto collega canadese. Da questo punto di vista, per il giovane Ambrosioni forse è venuto il momento di liberarsi dai suddetti modelli e cercare un proprio stile perché il potenziale c’è tutto e il talento, come già detto, non manca. Ma sarà solo l’opera successiva a dirci se riuscirà a farlo.

Francesco Del Grosso

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