Acciaio senz’anima
Se è vero che Guillermo del Toro aveva avuto il merito di creare, tra mille derivazioni, l’intero universo di Pacific Rim, disegnando una mitologia mostruosa e suggestiva capace di aprire nuovi scenari e nuove possibilità per il cinema di fantascienza a venire, è ben comprensibile il peso dell’eredità piovuta addosso all’esordiente Steven S. DeKnight, incaricato di prendere in mano nientemeno che le redini di quella titanica creatura, traghettandola verso un vero e proprio franchise.
In un mondo di relativa pace dopo la sconfitta, forse definitiva, dei devastanti e mostruosi kaiju, è allora una nuova storia, tutta da riscrivere, quella di Jake Pentecost e dei suoi compagni, un nuovo corso cui il regista si approccia con mestiere e rispetto senza, però, poter eguagliare l’estro inventivo del suo predecessore.
Mancando di una visione solida, di uno sguardo poco convenzionale e del non certo trascurabile effetto sorpresa del primo film, DeKnight, infatti, fa l’unica cosa possibile: si affida totalmente, da una parte, al ritmo forsennato e ai rutilanti effetti speciali e, dall’altra, a una sceneggiatura forte ed elaborata che guarda esplicitamente alla saga, perdendo, però, quella patina di giocosa autenticità che si respirava in ogni fotogramma, in ogni mostruosità e in ogni arrugginito pezzo di metallo del primo capitolo.
Servendosi, non a caso, del John Boyega della nuova trilogia di Star Wars, Pacific Rim 2 – La rivolta traghetta così fan e appassionati dentro un mondo che preferisce il susseguirsi esplosivo e continuo dell’azione alla suggestione fantastica e avvolgente delle sue atmosfere, il trionfo sempre più elaborato di combattimenti e scontri all’epica imprevedibile dei suoi eroi per caso.
E se, tra momenti ironici e azioni pirotecniche ma convenzionali, il film pare più vicino a un cinecomics o all’ennesimo blockbuster senz’anima piuttosto che al film di del Toro, poco importa. Lasciando il cult delle origini intatto nel suo Olimpo abitato dai suoi stessi eroi, Pacific Rim 2 segue imperterrito la strada di un mondo oramai fissato nell’immaginario, un mondo ancora capace – almeno in parte – di coinvolgere e stupire, forte di quel genio inventivo e debordante che, tra tocco autoriale e senso del fantastico, lo aveva partorito.
Mattia Caruso