Silenzio sul mare
Ci eravamo confrontati di recente con il dolente ricordo dello tsunami in Giappone attraverso un documentario davvero emozionante, Koi di Lorenzo Squarcia, scoperto al Detour in occasione dell’On the Road Film Festival. I terribili eventi dell’11 marzo 2011 sono rievocati trasversalmente anche in One Day, You Will Reach the Sea di Nakagawa Ryutaro, uno dei più bei film in concorso al 24° Far East Film Festival. La tragedia in qualche modo fuori campo. Ma incombente sul destino di personaggi, il cui percorso esistenziale è come accarezzato da una drammaturgia ora tenera e ora urticante, in grado di distillare emozioni senza forzature ma con enorme rispetto della vita e della morte.
Del resto lo stesso Nakagawa Ryutaro è cineasta la cui sensibilità è nota: lo possono testimoniare titoli come August in Tokyo (2014), Summer Blooms (2017) e Silent Rain (2019). Questa sua nuova opera cinematografica anche formalmente tende a creare risonanze inedite, sfiorando la cronaca, per poi discostarsene con grazia pudica. Ne è un esempio il ricorso all’animazione. L’iniziale sequenza animata, con un timbro vagamente alla Miyazaki, ci introduce la solitudine di un personaggio nella surreale cornice marittima che lo circonda. L’impatto è suggestivo ma anche alquanto straniante. Solo con l’ideale chiusura ad anello che si delinea alla fine, sempre attraverso una nota irreale, ci sarà modo di comprendere fino in fondo e di accogliere interiormente il significato più profondo di quel breve segmento animato…
Nel mentre ha modo di dipanarsi con ieratica e calibrata lentezza una trama stratificata, ben diluita nel tempo, da cui emergono con pari intensità un senso di ineluttabile fatalità, che si coagula anche in riflessioni non peregrine sulla morte, ed i risvolti più intimi e personali di un’amicizia femminile tutt’altro che superficiale, banale. Ispirato a un romanzo di Ayase Maru (coinvolta personalmente, dettaglio non trascurabile, nella tragedia del terremoto e dello tsunami che flagellarono il nord del Giappone), One Day, You Will Reach the Sea mette in scena il concetto stesso di perdita rievocando in momenti diversi il rapporto confidenziale e sincero tra Sumire, la ragazza energica ma un po’ enigmatica destinata a perire tra le acque, e la più introversa Mana, la cui devozione all’amica scomparsa ci ha peraltro ricordato (nella finzione) l’analogo sentimento sviluppato da molti dei personaggi reali, di cui avevamo appreso l’esistenza grazie al bel documentario di Lorenzo Squarcia.
La vibrante figura di Mana è descritta anche in contrapposizione a coloro che, invece, vorrebbero provare a rimuovere il trauma, rivolgendo il meno possibile lo sguardo al passato. Come lo stesso ex fidanzato di Sumire, che ha una gran fretta di svuotare l’appartamento, liberandosi degli oggetti a lei appartenuti. Per analogia anche l’altro evento luttuoso che si intreccerà con la vita di Mana, ossia l’improvviso e non meno tragico decesso del compagno di lavoro più anziano, finisce per agire da cassa di risonanza, rispetto al bagaglio emotivo esplorato nel film.
Elegante gioco di pieni e di vuoti, struggente teorema riferito all’assenza, One Day, You Will Reach the Sea si avvale di una regia matura e consapevole per dar voce a sensazioni, ad esperienze private, che risulteranno inevitabilmente famigliari a chi le ha vissute o a chi ha comunque provato qualcosa di simile; producendo così, al contempo, una possibile catarsi e pressoché inevitabili riflessioni sulla crudeltà del destino, entrambi fattori che invitano a tenere viva la memoria.
Stefano Coccia