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Oltre la nebbia – Il mistero di Rainer Merz

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VOTO: 5.5

I mille volti di un attore scomparso

In Italia, si sa, se pensiamo a quanto è stato prodotto nei decenni scorsi, possiamo vantare non pochi maestri nell’ambito del cinema di genere: da Mario Bava a Lucio Fulci, da Antonio Margheriti, fino al grandissimo Dario Argento. Sono nomi, questi, che hanno fatto scuola in tutto il mondo e che, ancora oggi, vengono citati e omaggiati da un sostanzioso numero di cineasti emergenti e non. Dall’altro canto, però, c’è chi afferma, tuttavia, che il cinema di genere italiano sia, in realtà, morto da tempo. E, in un certo senso, è anche vero, se si pensa che la grandi case di produzione sono solite destinare pochissimi fondi alla realizzazione di lungometraggi horror, gotici, western e via dicendo. Salvo, ovviamente, lanciare, di quando in quando, un nuovo prodotto, affidando la regia a grandi nomi che con il cinema di genere sembrano, però, non avere molta confidenza. Eppure, c’è chi fortunatamente ancora resiste e, malgrado le difficoltà di budget, non ha paura di lanciarsi nell’ardua impresa di dar vita a qualcosa di “insolito”. E, in casi come questi, di belle sorprese ne arrivano anche. Basti pensare, ad esempio, al recente The End? L’Inferno fuori di Daniele Misischia (che del cinema di genere ha fatto il suo cavallo di battaglia), presentato in anteprima alla dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma.

Ed ecco che, appena pochi mesi dopo l’uscita in sala del sopracitato lungometraggio, arriva sui nostri schermi un altro prodotto che, in un modo o nell’altro, vuole omaggiare quel cinema che, negli anni Settanta e Ottanta, ci ha fatto onore agli occhi di tutto il mondo. Stiamo parlando di Oltre la nebbia – Il mistero di Rainer Merz, coproduzione italo-svizzera, per la regia del giovane Giuseppe Varlotta (già autore nel 2008 del lungometraggio Zoè).
La storia qui messa in scena, dunque, è quella del detective privato Giovanni Andreasi (Pippo Delbono), il quale, dopo essere stato lasciato dalla moglie ed essersi dato all’alcolismo, viene incaricato da un’attrice (Corinne Cléry) di indagare in modo molto discreto sulla misteriosa scomparsa di un suo collega. Avrà il via, così, una lunga ricerca nei luoghi in cui l’uomo ha vissuto, portando a galla segreti che lo stesso Andreasi aveva dimenticato.
Una storia, questa, dalla sceneggiatura tanto complessa, quanto pregna di elementi del passato e del presente, dell’onirico e del reale che convergono tutti insieme, spiazzandoci e facendoci chiedere cosa sia vero e cosa no. Uno script in cui ogni ruolo viene continuamente ribaltato e in cui non mancano mai continui cambi di rotta e (spesso telefonati) colpi di scena. E l’operazione in sé è anche coraggiosa. Il problema, però, sta sempre nel voler gestire molte cose contemporaneamente, senza avere ancora una matura (e necessaria) padronanza del mezzo cinematografico, con il rischio di lasciarsi sfuggire la situazione di mano e di far perdere (in modo assolutamente non voluto) il filo del discorso allo spettatore stesso. Con il risultato finale di un prodotto anche registicamente e dal punto di vista della direzione attoriale piuttosto maldestro, ma che, tuttavia, dalla sua ha il fatto di aver voluto osare, di aver voluto tentare una strada nuova e controcorrente rispetto ai principali dettami produttivi nostrani. Denotazione del fatto che, forse, con un po’ più di esperienza nel campo, Giuseppe Varlotta potrebbe regalarci, un domani, anche qualcosa di parecchio interessante.

Marina Pavido

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