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Obsessio

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VOTO: 4

Un thriller psicologico mal confezionato

Di ossessioni malate per le donne ne sono tristemente piene le cronache.
Gli uomini autori degli inaccettabili misfatti, presi dal desiderio di controllare totalmente gli oggetti delle loro pulsioni, appartengono come si sa ad ogni genere di età e ceto sociale.
Non rappresenta dunque un’eccezione il ricchissimo imprenditore Trevor McNills (Neb Chupin) che, rapito dall’avvenenza della sua dipendente Natalie Dixon (Natalie Burn), decide di orchestrare un sempre più intricato piano per farla sua, stringendo attorno a lei un lento cappio fatto di pressioni psicologiche, dimostrazioni di potere e perfino la somministrazione occulta di droghe tramite la macchinetta del caffè che si trova in ufficio.
Ogni sera Trevor scrive sul suo diario appunti con cui sviluppare il suo perverso schema, note raccolte grazie alle cimici e alle telecamere che ha installato segretamente sul luogo di lavoro, mezzi con cui spiare compulsivamente ogni mossa e ogni frase di Natalie. A sera, nel silenzio della sua lussuosa villa, prende a vergare lunghe lettere a Natalie (che non vengono spedite), convinto apparentemente che esista una sorta di relazione fra i due, rivolgendosi a lei come a una ambitissima ma sfuggente preda prossima a capitolare. A sconvolgere la sua macchinazione giunge però Dave (Simon Phillips), un impiegato brillante che lentamente comincerà a far breccia nei sentimenti di Natalie e che scatenerà dunque la gelosia di Trevor. A questo si aggiunge la rabbia di vedersi sfidato e contrastato, una sensazione che il facoltoso uomo non solo non è abituato a sopportare, ma che vede arrivare da qualcuno come Dave che egli giudica palesemente inferiore. Trevor, come spiega in uno dei momenti più interessanti del film, si crede infatti un dio onnipotente, il vero artefice della sua vita, e finisce per ritenersi il dio di chiunque altro gli stia attorno.
Presentato a Venezia dal regista Giovanni Marzagalli, prodotto da Real Dreams Entertainment e distribuito da Cecchi Gori Entertainment, Obsessio rappresenta uno strano esperimento nell’ambito dei thriller psicologici. Lo spunto di fondo appare interessante e, stando a quanto dicono i titoli di coda, sarebbe ispirato a fatti realmente accaduti, nonostante in rete non si trovino facilmente notizie riguardanti la vicenda. Lo sviluppo vuole essere quasi teatrale, con un utilizzo minimo di interpreti e di ambienti, un’idea che probabilmente intende insistere sulla sensazione claustrofobica di doversi trovare ogni giorno per ore a contatto con il proprio carnefice, incapaci di fuggire.
Nonostante questo, si tratta di un prodotto sorprendentemente a basso costo e che, inoltre, soffre di notevoli lacune: ci sono dialoghi su non meglio precisati documenti, vuoti scambi di impressioni su un lavoro mai chiaro che sembra dover consistere solo nella scansione quotidiana di fogli e nell’invio di fantomatici dati riguardanti non si sa bene cosa. Pare che non si abbia alcuna idea di ciò di cui in realtà si occupano i protagonisti, quasi come non interessasse neppure agli autori. E’ ovvio che la centralità della vicenda sta nel narrare la costrizione psicologica cui è sottoposta l’attraente Natalie, ma il film si trascina spesso in lunghe scene d’ufficio senza che si comprenda cosa stiano realmente facendo gli impiegati, se non stare ore davanti a un pc in stanze spoglie di tutto. Troviamo una certa lentezza narrativa anche nelle sequenze che indugiano sulle docce fatte a casa propria da Natalie Burn, sui suoi allenamenti di yoga e aerobica e sui suoi cambi d’abito. A proposito della Burn va detto che la sua capacità recitativa, come quella di un po’ tutti gli interpreti, viene a malapena salvata dal doppiaggio italiano che, quantomeno, dà una parvenza di professionalità a una sceneggiatura notevolmente sciatta che ha davvero pochi passaggi interessanti.
La pretenziosa ambientazione newyorkese della pellicola viene suggerita solo grazie ad alcuni anonimi piani sequenza della Grande Mela inseriti tra un momento e l’altro, in realtà non abbiamo mai la sensazione di trovarci nella famosa metropoli, pare semmai di vedere una storia inserita in qualche piccola impresa di provincia.
L’impressione generale è quella di trovarsi di fronte ad una sorta di film girato a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, di quelli però messi assieme con un budget sempre troppo limitato, un impegno produttivo insufficiente per il contesto cinematografico contemporaneo.

Massimo Brigandì

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