Tali e quali horror show
Dopo un gioiellino horror come Scappa – Get Out, capace di portare a casa un inaspettato Oscar per la migliore sceneggiatura originale, era normale aspettarsi qualcosa di più e di meglio da Jordan Peele, che dopo una dignitosa ma non scintillante carriera davanti la macchina da presa con la sua opera prima da regista non meno di due anni fa ha letteralmente conquistato il pubblico e gli addetti ai lavori delle diverse latitudini.
Il cineasta e attore newyorchese le attese per suo e nostro grande piacere è riuscito a soddisfarle con un film che alza ulteriormente l’asticella, confermando e superando persino quanto di buono l’esordio del 2017 aveva saputo regalare alle platee. Noi porta sul grande schermo (in Italia a partire dal 4 aprile grazie a Universal Pictures) la storia di Adelaide Wilson, una donna che torna nella sua casa d’infanzia in California per trascorrere le vacanze estive assieme al marito e ai loro due figli. Ma ben presto un trauma irrisolto del suo passato torna a galla, che sfocia nella paranoia dopo aver trascorso una giornata al mare con la famiglia Tyler. Tornati nella loro casa di villeggiatura, durante la notte i Wilson vedono le sagome di quattro figure che si tengono per mano sul loro vialetto. Ben presto faranno la terrificante scoperta che quelle misteriose figure sono dei doppelgänger di se stessi.
Oltre ovviamente non possiamo dire sul plot, pena il linciaggio, ma sappiate che salvo qualche ridondanza nella parte centrale che dilatano la timeline spingendola in maniera superflua sino in prossimità delle due ore, il risultato è un efficacissimo thriller psicologico destinato a cambiare pelle tingendosi di rosso sangue invece che di giallo. Lo switch avviene quando dal lavoro sapiente sulla tensione e sulle atmosfere, che attinge a piene mani dal manuale dello shocker vecchia scuola, si passa all’horror dalle venature semi-splatter. Il tutto condito con copiose dosi di humour che sono a quanto pare, insieme alla satira sociale, alle paranoie contemporanee e al confronto razziale, elementi e temi ai quali Peele sembra non volere rinunciare. Li ritroviamo infatti anche nel DNA drammaturgico di Noi, ma non riciclati e rimescolati per l’occasione in mancanza di altro, bensì come le portate principali insieme al tema del doppio (visivamente reso attraverso le sdoppiamento dei personaggi e con l’utilizzo continuo di specchi e di superfici riflettenti) di un menù da consegnare ai palati più disparati, anche a quelli particolarmente esigenti.
Il cineasta statunitense gioca con i generi e le sfumature del mystery e dell’horror per firmare un accumulatore seriale di tensione che sin dall’incipit del lunapark tiene lo spettatore sul filo del rasoio. Tensione, questa, perenne e destinata a implodere sullo schermo quando s’innesca l’escalation di violenza con il sangue che inizia a grondare (su tutte la scena nella villa dei Tyler). Peele schiaccia il pedale dell’acceleratore e non lo toglie sino allo showdown e l’esito gli darà ragione, complice una messa in quadro che si fa, alla pari della scrittura, un buon conduttore di elettricità e l’ottimo lavoro davanti la macchina da presa degli attori, gran parte di loro impegnati nelle doppie vesti di protagonista e antagonista di se stessi.
Francesco Del Grosso