La ragazza nella bolla di plastica
Madeline (Amandla Stenberg), protagonista di Noi siamo tutto, ha appena compiuto diciotto anni e la stanza in cui vive potrebbe essere il sogno di qualsiasi adolescente. Ampi spazi confortevoli, attrezzature ginniche, computer, altoparlanti wireless all’ultimo grido e libri a non finire costellano un ambiente apparentemente perfetto. Nel piccolo regno di Maddy non si distingue un solo filo di polvere perché la sporcizia sarebbe letale per la sua salute.
Maddy soffre fin dalla nascita di SCID, una delle forme più gravi di immunodeficienza e per questo motivo il sistema immunitario non è in grado di lottare neanche contro i microbi più innocui. Sua madre, la dottoressa Pauline (Anika Noni Rose), trattiene la ragazza in una campana di vetro ipertecnologica e asettica, dotata di precauzioni e strumenti medici che la rendono simile al reparto ultramoderno di un ospedale all’avanguardia. Un giorno lo sguardo sognante di Maddy incrocia quello taciturno e ribelle di Olly Bright (Nick Robinson), figlio dei nuovi vicini di casa della ragazza.
Tratto dall’omonimo bestseller di Nicola Yoon, la trasposizione cinematografica diretta da Stella Meghie affronta con eccessiva leggerezza tematiche per lo più complesse, rivelando le caratteristiche tipiche di un melodramma patinato saturo di buoni sentimenti. Se da un lato si riconosce l’abusata metafora della giovane principessa rinchiusa nella torre più alta del castello, lontana dagli ormoni del principe di turno, dall’altro è possibile riflettere sulla velata critica che il teen movie rivolge alla società americana e alla patologica ossessione per l’isolamento incondizionato. In Noi siamo tutto è l’elaborazione di un grave lutto familiare a costringere i sopravvissuti in una gabbia dotata di ogni comodità, ma il richiamo alla vita (e all’amore) è più forte di ogni sofferenza.
Il coming of age di Maddy è una favola pedagogica intrisa di melenso romanticismo che si sviluppa progressivamente tra immagini oniriche, partorite dalla sensibilità di una ragazza iperattiva, ed episodi prettamente didascalici, al limite della stereotipia. La sceneggiatura di J. Mills Goodloe analizza le vicissitudini di due personaggi altamente credibili per quanto concerne le tensioni familiari, seppur incastrati nei prevedibili ostacoli che impediscono l’evasione verso la libertà e che scandiscono al contempo il ritmo meccanico della pellicola.
Le tonalità sature della fotografia e la pedante colonna sonora esaltano i dettagli del repentino innamoramento di un adolescente brillante, ma ingenua e di un coetaneo problematico, ma dall’animo sincero e passionale. Tra corsi online di architettura, recensioni di libri, chat e sms che diventano fantasiose conversazioni nello spazio siderale, nelle biblioteche o nei tipici diner statunitensi, in Noi siamo tutto è la malattia terminale il motore narrativo di una trasformazione caratterizzata da un vago senso di realismo e che rovescia il macguffin della pellicola in un plot twist dal retrogusto amaro.
Andrea El Sabi