Senilità / Giovinezza
Approdato tardi alla regia cinematografica, dopo aver ondeggiato a lungo tra saggistica, narrativa, giornalismo, programmi televisivi di nicchia e qualche sceneggiatura per il grande schermo, Fabio Carpi ha saputo impreziosire il suo cinema non soltanto coi riflessi di una vasta cultura, ma anche con lo sfaccettato ritratto di una senilità ora burbera e ora malinconica, dai tratti sognanti, signorilmente fuori dal tempo. In questo suo rincorrere sullo schermo i grandi maestri della letteratura del Novecento, tappa fondamentale è stata una pellicola realizzata nel 2001. Nobel, con l’ineffabile presenza dell’attore argentino Héctor Alterio, quale alter ego filmico dell’autore stesso. Ne eravamo rimasti estasiati all’epoca dell’uscita in sala. E lo abbiamo rivisto di recente, con un groppo in gola per la notizia della scomparsa di Fabio Carpi, arrivata da Parigi lo scorso 26 dicembre.
E pensare che il regista milanese, classe 1925, era sopravvissuto per tanto tempo alla propria condizione senile mettendone pure in scena, con garbo ed arguzia, un’essenza fatta di sogni residuali, ombre del passato, rimpianti, rigurgiti di vitalità e una possibile consolazione offerta dall’arte. Di questo fine tessuto è costituito anche Nobel, film tenuemente malinconico ma all’occorrenza spiritoso e ammiccante, in cui l’autore si è divertito a ricreare l’elegante contrasto tra un anziano intellettuale e un giovane giornalista scapestrato, incaricato dal suo editore di intervistare l’altro anche in virtù dei particolari legami a livello famigliare. Il pretesto è dato dal lungo viaggio in macchina che lo scrittore, Alberto, è in procinto di compiere per raggiungere la Svezia, dove gli verrà conferito il prestigioso premio Nobel. A fargli compagnia lungo il tragitto proprio Alessandro, quel giovane così istintivo, grezzo, le cui irrefenabili pulsioni celano però una sensibilità tutta da scoprire.
Ciò che ne deriva è un road movie filosofico e letterario attraverso l’Europa, la cui vivace aneddotica può ricordare certe pagine danubiane di Claudio Magris. Un’impressione riaffermata dall’eclettismo degli incontri e delle situazioni, riferite di volta in volta al ricordo vibrante del cinema muto e dei suoi vecchi divi, alle incursioni notturne in qualche bettola di Amburgo, alla visita della spiaggia prediletta di Thomas Mann, ai gesti caldamente raccomandati in un ristorante di lusso, alla Germania di qualche grande compositore o poeta del passato da contrapporre a quella più tetra dei campi di concentramento, rievocati tramite le sfuggenti memorie dell’anziano scrittore.
Cartolina sbiadita che si tinge occasionalmente di vita vera, Nobel scorre assieme ai vivaci battibecchi tra i due protagonisti, impersonati da un impeccabile Héctor Alterio e da un dispettoso Stanislas Merhar, con quella pettinatura sbarazzina che sembra sostenerlo nelle frequenti conquiste amorose. Differenti (e per certi versi complementari) nel rapportarsi alla cultura e all’arte, differenti anche nel concepire l’eros. Gli approcci istintivi e sfacciati del giovane vanno spesso a bersaglio. Ma l’occhio dello spettatore, guidato dalla musica, si commuove davvero solo di fronte agli estemporanei flashback che ripropongono il perduto amore del sempre più logoro Alberto: una Giovanna Mezzogiorno mai così bella, quasi icona bizantina cesellata in ricordi che sfumano inesorabilmente. Come a ricomporre, in una sintesi estrema, la poetica “proustiana” di Fabio Carpi e quel suo avvinghiarsi a suggestioni letterarie, fascinazioni rétro e cortesie in uso presso quei colti ambienti borghesi, dall’impronta marcatamente mitteleuropea, che vengono qui osservati con un misto di empatia e di ironica accondiscendenza, senza neanche occultare sentimenti comprensibilmente nostalgici verso i precari orizzonti di un’età al tramonto. O forse già tramontata, come quella educazione d’altri tempi, incompatibile con la modernità e coi suoi volgari strascichi. Troppo volgari, perché uno come Fabio Carpi vi si potesse comodamente adagiare.
Stefano Coccia