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No End

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VOTO: 8,5

Le bugie hanno le gambe corte

Quanto difficile, se non impossibile, sia fare film in Iran senza che il Governo locale e la pesante mano della censura intervengano prima, durante e soprattutto dopo la realizzazione, è cosa ormai tristemente nota. Ne sano qualcosa Jafar Panahi e tutti quei colleghi/e che hanno deciso di restare, pagando con la libertà e con pesanti sanzioni tale scelta. Ciò però non ha impedito loro di continuare a fare cinema, dentro e fuori dai confini nazionali, in maniera sotterranea e clandestina, usando in particolar modo i festival come casse di risonanza e occasioni di visibilità per opere che possono essere veicolo per gridare al resto del mondo e denunciare abusi, violazioni e privazioni. Tra chi è dovuto fuggire dalla sua terra natia c’è anche Nader Saeivar, che ha trovato rifugio tra la Turchia e la Germania, nazioni in cui vive e lavora, che hanno co-prodotto quello che è il suo secondo film da regista. Si tratta di No End, presentato nel concorso della sezione “Panorama Internazionale” della 14esima edizione del Bif&st, dopo un fortunato tour nel circuito festivaliero che ha fatto tappa tra le altre alle kermesse di Busan e Sofia.
Scritta a quattro mani con Panahi, del quale Saeivar è stretto e fidato collaboratore avendo firmato insieme le sceneggiature tra gli altri di Tre volti e Namo, la pellicola non è dichiaratamente tratta o ispirata a un fatto realmente accaduto, ma non si fa fatica a pensare che quello che accade allo sventurato protagonista di No End possa verificarsi oltre lo schermo. Desiderando rimandare il ritorno del cognato dall’esilio, che rovinerebbe i suoi piani di vita, Ayaz finge una perquisizione in casa sua per spaventarlo. Quando la notizia raggiunge i servizi segreti veri e propri, Ayaz si ritrova nella loro morsa sempre più stretta, fino alla discesa verso la dannazione. Si sa che le bugie hanno le gambe corte, ma in questo caso lo sono ancora di più, con il prezzo da pagare che è davvero altissimo, tanto da spingere un uomo comune, umile e innocuo impiegato statale con moglie a carico, in un tunnel senza fine e senza via d’uscita come lascia ampiamente intuire il titolo.
Leggendo tra le righe di una storia di fantasia come questa è dunque possibile trovare un fondo di verità, che poi tanto fondo non è. Ed è quella che spaventa a morte chi quelle righe sa come leggerle e interpretarle, andando oltre il filtro immaginifico della finzione di un’opera cinematografica. Il personaggio di Ayaz si ritrova suo malgrado scaraventato in un incubo ad occhi aperti, che lo spinge sino al baratro della disperazione. Ed è questo percorso di lenta e inesorabile discesa che scandisce gli step del racconto al centro di No End, un film profondamente angosciante per il modo in cui mette in scena un dramma destinato a trasformarsi in una tragedia umana. Tale sensazione si appiccica allo spettatore di turno per non abbandonarlo mai dal primo all’ultimissimo fotogramma a disposizione. Prologo ed epilogo in tal senso sono i due estremi di un’odissea ansiogena che il fruitore vive in apnea al fianco dello sfortunato protagonista, vittima di un sistema che schiaccia e non offre spiragli di speranza per rifiatare.
Il regista iraniano ci trascina al seguito del protagonista in un’agonia che attanaglia, con uno straordinario Vahid Mobasheri nei panni di Ayaz che con la sua interpretazione riesce a comunicare in maniera efficacissima tutta la gamma di emozioni, sensazioni e stati d’animo cangianti che attraversano il personaggio che gli è stato affidato. È la sua performance uno dei punti di forza di un’opera che lascia il segno, oltre che un forte malessere in chi la guarda che non è facile scrollarsi di dosso al termine della visione.

Francesco Del Grosso

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