«Questo Natale si è presentato come comanda Iddio»
Esistono dei capisaldi del teatro considerati intoccabili, ma esistono registi e artisti ‘coraggiosi’ – tanto più se, come in questo caso, siamo di fronte a Eduardo De Filippo – che hanno deciso di impastare le mani in quella ‘materia’, divenuta un grande classico, per farci i conti oggi, cogliere nuove sfumature e provare ad offrire il proprio apporto.
Negli ultimi anni le tavole del palcoscenico ha visto diverse messe in scena particolari della commedia di Eduardo De Filippo “Natale in casa Cupiello”, da quella con Fausto Russo Alesi a quella per la regia di Antonio Latella. L’operazione diretta da Edoardo De Angelis (prodotta da Rai Fiction e Picomedia) mostra subito il pregio di far sentire il Teatro nel senso più alto del termine, dando corpo a un vero e proprio film (in onda il 22 dicembre 2020 in prima serata su RaiUno, un omaggio in ricorrenza del 120° anniversario dalla nascita del drammaturgo e dei 90 anni dalla prima di questa opera teatrale), dove giustamente vengono ‘sfruttati’ acutamente anche gli spazi esterni.
Si sta avvicinando il Natale e, come da tradizione (tanto più di un tempo e di alcune località), gli zampognari suonano – non a caso – in una grotta (richiamando già il presepe, un elemento importantissimo nella commedia eduardiana). Sta cadendo la neve. Non manca già una cifra stilistica del regista napoletano: il piano sequenza iniziale con cui segue Concetta (una sublime Marina Confalone) fino al rientro in casa e alle celebri battute:
«Lucarie’, Lucarie’… scètate songh’e nnove!
(dopo una piccola pausa torna alla carica)
Lucarie’, Lucarie’… scètate songh’e nnove!.
(Luca grugnisce e si rigira su se stesso, riprendendo sonno. La moglie insiste)
Lucarie’, Lucarie’… scètate songh’e nnove!».
Al terzo ‘richiamo’ Luca Cupiello (incarnato da un Sergio Castellitto che non vuole imitare Eduardo, e proprio con la sua interpretazione così personale e, al contempo, rispettosa dei tratti del personaggio, lo celebra e lascia, negli spettatori, un segno) si sveglia e non può mancare il riferimento «’o ccafè». Il pensiero che fa alzare dal letto quest’uomo dolente e infreddolito consiste nel concludere il progetto del presepe: «la sua ossessione per il presepe è mal sopportata o addirittura derisa da tutti. La famiglia Cupiello sembra presa da altre faccende più importanti. Ma il presepe custodisce un segreto che soltanto lui conosce. Sembra inconsapevole, Lucariello, di tutto ciò che gli accade intorno. Eppure, mentre gli altri restano disorientati, indecisi tra la libertà e il quieto vivere, proprio lui si rivela l’unico ad avere un disegno, puro e incontestabile come l’amore» (dalle note sui personaggi). Questo attaccamento e atto d’amore verso il presepe (toccante, poetica, malinconica e a tratti premonitrice la scena in cui si reca ad acquistare tre statuine) porta la platea di turno ai limiti del groppo in gola – ancor più se pensiamo che un po’ questa tradizione e ciò che rappresenta si siano un po’ perse e nel contesto del Natale 2020. «Il presepe è bello e commovente perché lì ognuno ha il suo posto, il suo ruolo. Piace solo a lui però perché gli altri vogliono cambiare posizione, vogliono essere liberi. […] Sospesi tra realtà e presepe, è possibile una forma di salvazione?» (dalle note di regia).
Va specificato che la storia di De Angelis è ambientata nel 1950 «cercavo un anno simbolico», ha spiegato in conferenza stampa il regista de Il vizio della speranza continuando «sospeso tra la guerra e il benessere. Napoli è ancora ferita dalle bombe ma si sentono i primi vagiti di una classe media che si affermerà negli anni successivi. Un anno sospeso tra distruzione e ricostruzione, proprio come il 2020».
Poi, come da copione, l’obiettivo della macchina da presa, spaziando nel piccolo ambiente, si sofferma su una coperta sotto cui si nasconde qualcuno. È Tommasino (bravissimo Adriano Pantaleo), secondogenito di Luca e Concetta, i quali lo chiamano Nennillo, come se fosse ancora il piccolo di casa e lo volessero sottolineare (il padre per spronarlo, la madre coccolandolo ancora). Luca Cupiello gli fa quasi un agguato con uno schiaffo e proferisce parole che, probabilmente, anche i figli di oggi si sono sentiti dire: «io all’età tua alle 7:30 saltavo giù dal letto come un grillo […] a quei tempi c’era il rispetto per i genitori».
Come un ritornello che denota quanto il nostro protagonista sia legato a ciò che rappresenta il presepe, chiede ogni tot: «te piace o’ presepe?» e ogni qual volta si sente rispondere di no, sembra che riceva un colpo al cuore. Neanche la moglie Concetta sembra entusiasta del periodo natalizio («quando viene u’ Natale è un castigo di Dio» proferisce riferendosi al chiodo fisso del presepe del marito). La donna, come spesso accade con le madri che si fanno carico di risolvere certe questioni prima che scoppino e vengano scoperte dal padre. L’altra figlia, Ninuccia (una Pina Turco in parte), infatti, ha deciso di lasciare il ricco marito Nicolino (Antonio Milo) per l’uomo che ha sempre amato, Vittorio (Alessio Lapice), e gli ha scritto una lettera per comunicarglielo. «Concetta riesce a evitare quella che per la famiglia sarebbe una sciagura, ma la missiva capita nelle mani di Luca che, ignaro di tutto, la consegna al genero. Nicolino scopre così il tradimento della moglie. Durante la vigilia di Natale, la sbadataggine di Luca mette di fronte i due rivali e la realtà irrompe prepotente nel clima presepiale di casa Cupiello». Per chi non avesse mai visto o letto quest’opera eterna non vogliamo svelare come si conclude, vogliamo solo aggiungere che, in qualche modo, si concretizza lo spirito del Natale e, in particolare, del presepe.
Ci teniamo a esplicitare che anche gli attori di cui non abbiamo commentato nello specifico regalano personaggi-persone di cui Eduardo, immaginiamo, avrebbe sorriso, riconoscendo la propria commedia umana (da commedia, ai limiti della farsa napoletana, sono le scene col fratello di Luca/Tony Laudadio e suo coinquilino, Pasquale, uno scapolo di mezza età rancoroso e collerico. In lite perenne col nipote Tommasino). Sul piano della sceneggiatura (co-firmata da De Angelis e Massimo Gaudioso) va riconosciuta una grande fedeltà, con quel napoletano viscerale che arriva dritto al cuore e alla pancia, senza mai risuonare stantio.
Si potrebbero scrivere fiumi di parole su Natale in casa Cupiello, soprattutto nel confronto tra il linguaggio teatrale e quello cinematografico e quando l’uno si fonde con l’altro, ma ora vogliamo lasciare il posto alla visione e alle vostre riflessioni ed emozioni.
Vi anticipiamo che questo film «È il primo tassello di un grande progetto legato a tutte le opere di De Filippo. L’idea mi è venuta a Torino, dopo un incontro al Salone del Libro in cui un collega della Bbc spiegava i loro programmi su Shakespeare: Eduardo è il nostro ‘bardo’, ho capito che era lui il personaggio giusto su cui lavorare. Certo il Covid-19 ha inficiato: i set chiusi per lunghi mesi ci hanno costretto ad accelerare i lavori, siamo fieri di riuscire a regalare al pubblico questo film in tempo per Natale», ha spiegato il produttore Roberto Sessa. Al regista di Indivisibili verranno affidati anche i due prossimi lungometraggi tratti da “Non ti pago!” e un terzo testo ancora da definire. Ad affiancarlo «ci sarà sempre Castellitto», ha tenuto a rivelare aggiungendo con trasporto: «ho provato nostalgia del lavoro con lui già al momento dell’ultimo ciak, la nostra intesa è stata eccezionale. La scommessa è stata e continua ad essere quella di far rivivere quei testi dentro voci e corpi nuovi».
«Rivisitare il teatro di Eduardo è un impegno dovuto, una memoria da custodire e rinnovare, portando al grande pubblico generalista e alle nuove generazioni l’opera di uno dei caposaldi del novecento teatrale italiano», ha tenuto a sottolineare la direttrice di Rai Fiction Maria Pia Ammirati e non possiamo che sposare quest’idea perché il teatro di Eduardo è più vivo che mai e, ancor più le giovani generazioni, dovrebbero entrarvi in contatto/connessione.
Con Natale in casa Cupiello vi ritroverete a ridere e piangere, di quel pianto che proviene da dentro per ciò che non c’è più (o che probabilmente qualcuno non ha mai provato), ne avvertirete la mancanza e chissà che non scatti anche in noi una corda che porti verso la maturità
«Vissi d’arte, vissi d’amore,
Non feci mai male ad anima viva!
[..]
Sempre con fè sincera
La mia preghiera
Ai santi tabernacoli salì.
Sempre con fè sincera» (da “Vissi d’Arte” dalla “Tosca” di Puccini).
Maria Lucia Tangorra