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My Tyson

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VOTO: 7.5

Un destino scritto nel nome

«Una tematica tanto attuale quanto controversa, raccontata smarcandosi da facili retoriche attraverso gli occhi di una madre che conosce già il destino di un figlio, raccontata con un approccio cinematografico intimo, poetico e delicato con un tocco visivo e di messa in scena che rivela promettenti doti registiche». È con la seguente motivazione che la giuria della seconda edizione del Saturnia Film Festival ha deciso di assegnare una menzione speciale a My Tyson di Claudio Casale, presentato alla kermesse toscana a un anno dal fortunato esordio alla 75esima Mostra del Cinema di Venezia nella sezione “MigrArti”, dove si è aggiudicato il premio per il miglior documentario.
La suddetta motivazione ha messo in fila e riassunto alla perfezione tutti i meriti di un’opera che nella proliferazione, anche un po’ furba e superficiale, di pellicole incentrate su una serie di argomentazioni si attuali, ma allo stesso tempo abusate, ha saputo mantenersi alla larga dalle sabbie nobili dei moralismi a buon mercato e dei cliché.. Muovendosi abilmente tra coming of age, ritratto familiare, biografia, sport movie e racconto a sfondo sociale che affronta temi complessi come quelli della migrazione, dell’integrazione e delle seconde generazioni, il regista romano porta sullo schermo una storia toccante e coinvolgente.
La storia in questione è quella di Alaoma Tyson, il campione italiano di boxe dei pesi Youth. Mentre si allena per il prossimo incontro, sua madre Patience racconta la storia della famiglia, dal viaggio migratorio alle difficoltà economiche incontrate in Italia. Rievocando il passato, Patience tesse il futuro di Tyson, il cui nome sembra predestinato ad essere un combattente.
In My Tyson passato, presente e futuro si mescolano senza soluzione di continuità in una narrazione che si muove su piani spazio-temporali da prima paralleli e poi convergenti. Il cineasta capitolino si e ci immerge nella vita dentro e fuori dal ring di un ragazzo, alternandola con quella dei suoi affetti, nello specifico di una madre che per lui e per se stessa non ha mai smesso nemmeno un attimo di combattere. Il risultato è una “finestra audiovisiva” spalancata su esistenze che hanno fatto della forza, del sacrificio e della voglia di riscatto le spinte propulsive del quotidiano. Un quotidiano nel quale Casale e la sua macchina da presa sono entrati in punta di piedi, senza invadere o alterare la realtà e la verità di quanto apparso di volta in volta davanti all’obiettivo. In soli quindici minuti l’autore è riuscito laddove molti altri colleghi nelle medesime situazioni, utilizzando un gergo pugilistico, sono andati K.O. La differenza la fa nel suo caso la sensibilità e lo sguardo autentico, mai accondiscendete, celebrativo o retorico, frutti maturi di un rispetto e di una vicinanza ai soggetti che traspaiono da ogni singolo fotogramma.

Francesco Del Grosso

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