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My Ordinary Love Story

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VOTO: 7

Ucciderei per amore

Eun-jin e la fortuna in amore sono acerrime nemiche! Ha avuto sei disastrose relazioni e quando decide di arrendersi incontra il dolce Hyeon-suk. Il loro rapporto è una favola tanto da insospettire la ragazza che decide di investigare sul fidanzato. Quale terribile segreto potrà mai scoprire? Senza entrare troppo nei dettagli di quello che Lee Kwon racconta nel suo My Ordinary Love Story, così da non correre il rischio di spoilerare, quello che possiamo dirvi è che i cambi drastici e inaspettati di registro e di genere ai quali il regista sudcoreano sottopone la storia e i suoi personaggi sono tanto netti da tagliare letteralmente in due la timeline. La transizione avviene in maniera simultanea e improvvisa, con un passaggio di testimone che si materializza sullo schermo sotto gli occhi degli spettatori di turno, in questo caso quelli presenti alla giornata inaugurale della 17esima edizione del Far East Film Festival dove la pellicola è stata presentata in anteprima internazionale.
Si assiste così a una fusione di due colori diametralmente opposti che si danno il cambio e non a un’ibridazione. Dunque, non un mix senza soluzione di continuità, ma una successione di macro-blocchi diversi. Il risultato è un film dalle due facce che rispecchia in pieno le maschere del protagonista maschile. Così ci troviamo a fare i conti con un’opera che inizia come una semplice commedia romantica degli equivoci, per trasformarsi successivamente al raggiungimento di un turning point ben definito in qualcos’altro che, ovviamente, non vi sveleremo. A dispetto del titolo, quindi, quella raccontata non è una storia d’amore per niente ordinaria o banale, anche se l’impostazione iniziale andava in quella direzione. Fatto sta che la seconda fatica dietro la macchina da presa di Lee Kwon, dopo l’invisibile Attack on the Pin-Up Boys, è un’opera camaleontica che si spoglia di una pelle per indossarne un’altra. Ed è proprio questo stravolgimento che muta in corsa l’epidermide del plot e dei personaggi che lo popolano a rappresentare il punto di forza dell’operazione. Si ha come l’impressione che l’autore si sia reso conto già in fase di scrittura della flessione che la trasposizione poteva subire in termini di presa sul pubblico e di efficacia e si sia comportato di conseguenza, tirando fuori dal cilindro al momento giusto il colpo ad effetto.
Sette anni dopo l’esordio, il cineasta asiatico firma un film che assomiglia a una sorta di matrioska, il cui script funziona esattamente come la celeberrima bambolina russa: dentro un film ce n’è un altro, dentro una storia ce n’è un’altra, dentro un personaggio ce n’è un altro e così via. Lee Kwon offre un menù variegato a base di risate e di …. Portate, queste, che saziano in modo diverso i commensali. Scene esilaranti come quella ambientata nel taxi dove Eun-jin e Hyeon-suk si scambiano le prime parole, oppure quella dell’ascensore che vede impegnate la protagonista e la sua amica poliziotta, regalano folate di divertimento a buon mercato. Ma come accade molto spesso non è tutto oro ciò che luccica. Le due facce della medaglia, infatti, non hanno lo stesso peso specifico; a loro modo funzionano entrambi ma non in egual misura, con la prima parte che appare più riuscita e solida della seconda. Nel complesso, My Ordinary Love Story è un’operazione non esaltante, ma comunque meritevole di attenzioni, soprattutto dal punto di vista registico, con il giovane cineasta sudcoreano portatore sano di uno stile prorompente e ricco di soluzioni estetiche degne di nota, dalle quali si evincono in maniera piuttosto evidente fortunati trascorsi nel videoclip e nella realizzazione di storyboard.

Francesco Del Grosso

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