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My Generation

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VOTO: 7.5

Sixties Forever

Prendi un periodo d’oro come quello degli anni Sessanta. Prendi una città viva e dinamica come Londra, dove alla popolazione più conservatrice si contrappone un nutrito gruppo di giovani in vena di “fare la rivoluzione”. A tutto ciò aggiungi alcune delle più importanti band della storia del rock ‘n roll, più una serie di personaggi-icona e ancora musiche, colori psichedelici e tanta, tanta energia. Di storie interessanti da mettere in scena ce n’è eccome. Se poi è una voce come quella del celebre attore sir Michael Caine a raccontarci – parallelamente alle sue vicende personali – questo glorioso periodo storico, ecco che a prendere vita è un frizzante e ben riuscito documentario, valente testimonianza di un importante decennio del secolo scorso. Stiamo parlando di My Generation, ultima fatica del cineasta britannico David Batty, presentata Fuori Concorso alla 74° edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Come già accennato, dunque, di materiale da trattare ce n’è davvero parecchio. Senza contare che un decennio come quello degli anni Sessanta, oltre ad aver, in un modo o nell’altro, cambiato la vita delle generazioni che lo hanno vissuto in prima persona, ancora oggi continua ad esercitare una certa influenza ed un certo fascino su giovani e meno giovani. Ed ecco che, volendo essere cinici, si potrebbe affermare che, dal momento che le immagini di repertorio ci sono, la buona musica pure, così come c’è un grande attore che fa da voce narrante, non è affatto difficile realizzare un buon prodotto. Giustissimo. Però, al di là dei personali gusti musicali, al di là di quanto ognuno possa essere affascinato o meno da un’epoca come quella qui raccontata, non si può negare che un documentario come questo di Batty sia indubbiamente un piccolo gioiellino, che, tuttavia, tende un po’ a “sparire” all’interno di un vastissimo numero di titoli che nel giro di un anno fanno la loro apparizione in sala. Un gioiellino che ha visto la luce ben sei anni dopo l’inizio della lavorazione e che è frutto di un’accuratissima selezione di immagini e di più di cinquanta interviste realizzate dallo stesso autore. E così, ecco che Caine, tra una pausa e l’altra, passa la parola, di volta in volta, a Paul McCartney, a Mick Jagger, a Marianne Faithfull, a Pete Townshend, ma anche a Twiggy ed a Mary Quant. Ognuno che ci parla dei suoi anni Sessanta, ognuno con una personale e singolare storia da raccontare.
Sta, dunque, ad un montaggio dinamico e ritmato al punto giusto fare il resto. Un montaggio che, sebbene – soprattutto nel finale – possa risultare un po’ didascalico, con le immagini di repertorio che si alternano in modo sempre più frenetico, fino a quando il quadro stesso non si rimpicciolisce fino al punto di sparire, tutto sommato si rivela ben realizzato e decisamente adatto a mettere in scena ciò di cui Batty ha voluto parlarci.
Al di là della buona realizzazione, al di là dell’indiscusso appeal del tema trattato, però, il vero momento clou di My Generation è la sequenza che – sulle note della bellissima “Strawberry Fields Forever” dei Beatles – dapprima ci mostra filmati riguardanti personaggi pubblici, artisti e vita quotidiana e, in seguito, ci fa vedere scene di bombardamenti direttamente dalla guerra del Vietnam. Per il suo forte impatto emotivo, così come per l’accostamento della musica a cruente immagini di guerra, verrebbe da pensare addirittura al capolavoro di Rainer Werner Fassbinder, Lili Marleen (1981), in cui, appunto, mentre la protagonista (Hanna Schygulla) è intenta a cantare la sua più celebre canzone, vediamo i sodati al fronte che si fermano per ascoltarla alla radio, prima di tornare in battaglia.
Tale sequenza, indubbiamente, è sufficiente per far sì che questo piccolo, onesto prodotto di Batty possa restare nel cuore di chi ama o ha amato quell’epoca gloriosa. Dai a Cesare quel che è di Cesare.

Marina Pavido

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