Restiamoci accanto
All’interno della “Korean Week” di Pesaro Capitale italiana della cultura 2024, la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema ha ospitato nel corso della sua sessantesima edizione una proposta di titoli di recente produzione sudcoreana. Tra le pellicole proiettate nelle giornate della kermesse marchigiana, oltre al campione d’incassi Exhuma di Jang Jae-hyun, c’è stato spazio anche per Mora, opera seconda di Jin-Tae Kim.
La pellicola ci porta al seguito di Sun-woo e Woo-jung, una coppia di Busan in procinto di sposarsi. Il loro futuro roseo però va in frantumi quando il padre divorziato di Sun-woo, con una storia creditizia negativa alle spalle, ha un ictus. Su Sun-woo ricade una tassa enorme da pagare per le cure e sua madre insiste affinché l’ex marito venga selezionato come beneficiario dei mezzi di sussistenza di base così da potere affrontare le spese e condurre una vita dignitosa. Riuscirà Sun-woo a superare questo disastroso incidente e a convogliare a nozze?
Alla visione tutte le risposte del caso, nel frattempo c’è da dire che anche se la sinossi sembrerebbe avere tutti gli elementi che normalmente indicherebbero una storia cupa e dall’altissimo tasso di drammaticità, in Mora invece si assiste a una riuscita ed efficace alternanza dei registri, con i toni della commedia che si insinuano per stemperare una tragedia di fondo legata ai temi della malattia, della crisi economica, delle problematiche lavorative e dei legami affettivi. Tematiche, queste, che l’autore ha approcciato con grande maturità, rispetto e delicatezza. Lo humour messo in campo infatti non oltrepassa mai il limite, con la scrittura che riesce sempre a dosare e a trovare il giusto equilibrio tra dramma e commedia, senza che l’una fagociti o prenda il sopravvento sull’altra. Ciò consente al film di affrontare le suddette tematiche universali e dal peso specifico rilevante senza timori reverenziali e senza il bisogno di edulcorare gli aspetti più complessi e spiacevoli riguardanti la malattia. In tal senso, Jin-Tae Kim non omette e si autocensura, ma resta attaccato alla verità e al realismo senza compiere mai un passo indietro. Il ché consente all’opera di emozionare e al contempo far riflettere lo spettatore di turno, chiamato nel corso della fruizione sia a sorridere che a commuoversi grazie a un’opera piacevole che soddisfa le sue modeste ambizioni e rimane avvincente fino alla fine, al netto del solito accumulo di finali ai quali i cineasti sudcoreani a quanto pare raramente riescono a rinunciare.
E se Mora riesce a toccare certe corde lo deve in gran parte anche al contributo del cast a disposizione, nel quale sia la coralità che le singole performance (su tutte quelle di Lee Dong-hwi e Han Ji-Eun) rappresentano un valore aggiunto sul quale il regista, con precedenti come attore, ha potuto contare dal primo all’ultimo fotogramma.
Francesco Del Grosso