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Moon

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VOTO: 7,5

Gabbie d’orate

Tra i nomi più promettenti del cinema austriaco contemporaneo v’è indubbiamente la giovane cineasta curdo-austriaca Kurdwin Ayub, la cui opera seconda dal titolo Moon (Mond), presentata nel concorso della 38esima edizione del Bolzano Film Festival Bozen dopo un lungo e fortunato tour nel circuito internazionale iniziato al 77° Festival di Locarno, dove ha vinto tra gli altri il premio speciale della giuria, ha ulteriormente messo in evidenza quelle che sono le sue qualità sia sul piano registico che di sceneggiatrice. Qualità, queste, che in forma embrionale e via via sempre più consapevoli erano emerse sia dalla sua produzione breve che da quella documentaristica, per poi trovare espressione e maturità nei due lungometraggi fin qui realizzati, ossia l’esordio Sonne e la pellicola in questione.
Per quanto concerne la scrittura e regia, la Ayub riesce a trovare sempre misura ed equilibrio giusti tra ciò che è necessario e ciò che non lo è. Il risultato non può che essere un plot, dei personaggi e una messa in quadro tagliati su misura e perfetti per la causa, con e attraverso i quali mettere in scena storie estremamente personali, ma dalle connotazioni universali, che veicolano tematiche dal peso specifico rilevante che puntualmente ritroviamo anche in Moon, a cominciare dalla sorellanza e dall’emancipazione femminile che qui vengono messe in discussione dal retaggio patriarcale che vive e prospera nel mondo arabo così come, in forme diverse, nella moderna e liberale Europa. Per affrontarle e mostrarne le dirette conseguenze, senza troppi fronzoli o giri di parole, l’autrice ci porta al seguito di Sarah, un’ex lottatrice di MMA datasi all’insegnamento che decide di trascorrere un mese nel Vicino Oriente, al fine di lavorare come personal trainer per le tre sorelle adolescenti di un misterioso e ricchissimo uomo d’affari. Una volta giunta in Giordania presso la loro villa, la alla protagonista viene chiesto di firmare un contratto secondo cui si impegnerà a non pubblicare mai nulla sui social media riguardante la vita della suddetta famiglia. Questa, però, è solo la prima di una serie di situazioni che renderanno la sua permanenza in casa loro sempre più inquietante. Quello che inizialmente sembra un lavoro da sogno diventa presto un incubo: le giovani donne sono tagliate fuori dal mondo esterno e sotto costante sorveglianza. Lo sport non sembra interessarle. Allora perché Sarah è stata assunta?
La risposta la lasciamo come è giusto che sia alla visione di un’opera intrigante per la sua narrazione ricca di tensione e il suo orientamento verso un pubblico più ampio, grazie a una trama esile ma dal tono mistery che finisce con il coinvolgere lo spettatore. Un lavoro calibrato che va di pari passo con un crescendo emotivo febbrile che si manifesta sullo schermo nell’ultima mezz’ora con le scene della cucina e del tentativo di fuga dal centro commerciale. Ma a dominare è un persistente senso di disagio che ben presto si trasforma in confusione, paura e impotenza, transitando dalla protagonista allo spettatore in maniera sempre più forte. Un senso che viene amplificato e reso tangibile come una cassa di risonanza dall’efficace performance dell’artista e coreografa Florentina Holzinger che veste i panni di Sarah, oltre che dalle atmosfere asfittiche ansiogene create dalla fotografia di Klemens Hufnagl.

Francesco Del Grosso

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