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Crocodile Tears

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VOTO: 9

La presa morbosa di mamma coccodrillo

Presentato nella sezione “Newcomers” della 22esima edizione dell’Asian Film Festival, l’opera prima di Tumpal Tampubolon, Crocodile Tears, unisce thriller psicologico, coming of age e horror metafisico in un’opera singolare, inquietante ed avvincente.

Il ventenne Johan (Yusuf Mahardika) vive con la madre (Marissa Anita) in un fatiscente parco di coccodrilli; il padre è scomparso o forse morto, e la donna ha con il figlio un rapporto morboso fuori controllo, tenendolo legato a sé ed al parco ed impedendogli di vivere la sua vita. Un enorme coccodrillo bianco osserva tutto dal suo recinto, ed ha una speciale connessione con la donna, quasi simbiotica; un legame innaturale e misterioso che si svelerà – forse – nel finale trascendente. Johan vorrebbe uscire da questa morsa, senza successo; tutto cambia con l’incontro fortuito con la giovane Arumi (Zulfa Maharani), che spezzerà l’equilibrio della relazione madre-figlio portando la donna a comportamenti imprevedibili e pericolosi.

Quando un genitore se ne va, l’equilibrio tra chi rimane non è sempre facile; spesso si instaura una sorta di trasposizione tra padre e figlio o madre e figlia, in cui i figli si trovano intrappolati in un ruolo che non gli appartiene. È quello che accade a Johan, che trova naturale dormire abbracciato alla madre nel letto coniugale finchè il rapporto con Arumi non ristabilirà la giusta prospettiva; a questo bisogna aggiungere l’estrema possessività della donna, che vorrebbe tenere il figlio sempre morbosamente attaccato a sé e protetto sotto una campana di vetro. Un tema antico, che Sofocle narra nella tragedia Edipo Re, dove Giocasta, moglie del re di Tebe Laio, alla sua morte sposa Edipo, che scoprirà essere suo figlio. Anni prima infatti, per sfuggire alla profezia che vedeva il figlio assassino del padre e marito della madre, Giocasta aveva abbandonato il piccolo annunciando la sua morte. Da questa storia hanno origine le teorie psicologiche sul complesso di Edipo ed il corrispondente complesso di Giocasta, il figlio innamorato della madre e la madre innamorata del figlio. In Crocodile Tears abbiamo una madre castrante pericolosamente ai limiti del complesso di Giocasta: la possessività, la gelosia nei confronti di Arumi, cresceranno esponenzialmente fino all’acme di un finale ai limiti dell’horror.

La scelta di ambientare la storia in un parco di coccodrilli ha poi, per il regista Tampubolon, un altro senso metaforico: quello dell’amore materno che protegge e morde allo stesso tempo. La metafora delle “lacrime di coccodrillo” si riferisce infatti al sottile equilibrio tra la presa protettiva e allo stesso dannosa della fauci di una femmina di coccodrillo mentre trasporta i suoi piccoli, attività che comporta spesso proprio il versamento di lacrime. Inoltre il coccodrillo, radicato nella terra ed immerso nelle acque, incarna il ponte tra il tangibile e l’intangibile, la materia e lo spirito: in questa duplice natura, il grande coccodrillo bianco rappresenta, per la madre, l’essenza del marito scomparso, assente e presente al tempo stesso nella loro vita. Aspetto psicologico e soprannaturale si intrecciano senza soluzione di continuità in Crocodile Tears, cui il regista aggiunge sprazzi di toni da commedia, mescolando paura, mistero, orrore e risate in un mix perfettamente equilibrato, originale ed intrigante assolutamente irresistibile.

Michela Aloisi

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