Accettarsi come si è: un traguardo non impossibile
Il Focus LGBTQ del Rome Independent Film Festival continua a proporre film di una certa rilevanza. Domenica scorsa è stato il turno di Margarita With a Straw, datato 2014 e qui inserito fuori concorso, ma già reduce da vetrine di grande prestigio come il Toronto Film Festival e il Festival di Busan in Corea del Sud. Il perché di tanto successo si è ben presto capito. Quello diretto dalla film-maker indiana Shonali Bose è un lungometraggio che emoziona in profondità, come la calorosa reazione del sottoscritto e di gran parte del pubblico in sala ha poi evidenziato. Un’opera non immune da difetti, peraltro, riscontrabili per esempio nell’eccessiva facilità con cui la protagonista instaura rapporti armonici e cortesi praticamente con chiunque, durante la parentesi americana. Il mondo appare lì così “friendly” da non sembrare neanche reale. Ma la tensione emotiva del racconto e la bontà delle riprese neanche in quel caso vengono meno, facendoci chiudere volentieri un occhio sulla forse eccessiva leggerezza di certe situazioni.
La chiave di volta dell’appeal cinematografico di Margarita With a Straw, senza nulla togliere alle splendide figure di contorno, coincide col carattere pressoché indimenticabile della sua protagonista, vera e propria eroina moderna che cattura lo sguardo dello spettatore sin dall’inizio. Costretta su una sedia a rotelle, limitata nelle sue interazioni fisiche col mondo esterno da una parziale paralisi cerebrale, ma al contempo curiosa e vivace, appassionata di musica (che contribuisce persino a creare, per la band del ragazzo di cui è visibilmente cotta), nonché ansiosa di sperimentare le gioie del sesso alla faccia dell’handicap e di chi lo ritiene un limite insormontabile. Laila è tutto ciò. Ed è molto altro ancora. Importantissimo, perciò, quanto ha rivelato la regista al termine della proiezione, e cioè che se non fosse stata trovata l’interprete giusta il film non si sarebbe proprio fatto. Fortunatamente alla produzione indiana è andata di lusso. La graziosissima Kalki Koechlin, oltre ad avere occhi che fanno sognare, è una giovane e preparatissima attrice di Bollywood, formatasi tra l’India e le scene teatrali londinesi, il cui talento con questo ruolo ha avuto modo di affermarsi definitivamente: grazie a un effervescente mix di grinta e sensibilità, la sua Laila esibisce l’handicap ma non ne è mai succube, evitando di scivolare nel facile pietismo o di risultare caricaturale e fornendo invece il ritratto di una giovane donna problematica, sì, fisicamente svantaggiata, senza dubbio, in possesso però di quella straordinaria forza di volontà che la spinge a non rinunciare mai, di fronte a qualsiasi avversità le si ponga davanti. Così da mettersi comunque nelle condizioni di realizzare se stessa.
Nel comunque accidentato percorso esistenziale di Laila si inserisce un importante viaggio dall’India a New York, dove prenderà confidenza con la realtà americana, sperimentando sia la possibilità di approfondire i propri studi che, soprattutto, quell’iniziazione erotica dai diversi risvolti, uno dei quali le procurerà una partner ancora più difficile da accettare per la propria famiglia: trattasi infatti di ragazza lesbica, non vedente, pakistana di origine.
Forse troppo anche per i genitori di Laila, che pure rappresentano – come si intuisce sin dalle prime sequenze – uno specchio della media borghesia più aperta, laica e illuminata dell’India che si sta costruendo… ed è forse anche questo un aspetto da incoraggiare del film, nonostante certi risvolti narrativi possano apparire a tratti semplicistici e un po’ forzati: il voler stare sempre a fianco di quella parte del paese che vuole liberarsi di certi tabù del passato, muovendosi in direzione di una maggiore tolleranza e rispetto per gli altri.
Ma anche al di là delle possibili congetture sul suo valore sociale, Margarita With a Straw appassiona grazie a una scrittura filmica vivace, alquanto diversificata, che ha comunque nelle scene in cui la macchina da presa sta addosso ai personaggi, descrivendone empaticamente le interazioni corporee, i suoi veri momenti di grazia.
Stefano Coccia