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Mandibules

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VOTO: 8

Due tonti e una super-mosca

Finalmente. Anche in Italia è arrivato il momento in cui il pubblico potrà godersi in sala – purtroppo c’è da temere non moltissime, dato il periodo – il cinema di Quentin Dupieux. Il suo nono (!) e sinora ultimo lungometraggio è risultato quello buono, trovando in I Wonder Pictures una coraggiosa distribuzione: Mandibules (2020), già presentato fuori concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Un lavoro a proprio modo esemplare nell’allargare ulteriormente il campo della poetica di Mr. Oizo, pseudonimo usato da Dupieux nell’ambito della sua fortunata carriera musicale. E c’è da ringraziarlo per la sua scelta di passare al cinema, poiché il suo è un modus operandi davvero unico nel mettere in scena, da autore a tutto tondo, la tragicommedia umana. Eccentricità e surrealismo, ad approfondire i suoi film, appaiono termini pertinenti solo in minima parte. Nel cinema dell’artista francese l’assurdo diventa possibile ed i confini tra purissima idiozia e perfetta genialità, già piuttosto labili di per sé, finiscono magicamente con l’annullarsi del tutto. Vedere per credere.
Mandibules (in italiano mandibole; titolo che potrebbe sembrare fuori contesto quando invece risulta perfettamente aderente alla trama, trattandosi tra le altre cose di istinti primari…) racconta di due scapestrati che accettano una controversa missione, quella di prendere in consegna e trasportare una misteriosa valigetta. All’uopo Manu (Grégoire Ludig) ruba un’auto, prima di coinvolgere nell’incarico l’amico di una vita Jean-Gab (David Marsais). Dal bagagliaio dell’auto cominciano però ad arrivare strani rumori. I due lo aprono, trovando all’interno una mosca in formato gigante. La folgorante idea che attraversa la mente dei due è quella di addestrarla per guadagnarci sopra, in qualsiasi modo possibile. Da questa situazione partiranno una serie di disavventure ed incontri, da non raccontare ma da vedere con massimo godimento, provando a trattenere risate che invece scorreranno copiosamente. Perché Quentin Dupieux, non pago di aver creato – come del resto accaduto in tutti i suoi altri film, vedere ad esempio Rubber (2010) incentrato sulle gesta di un pneumatico assassino (!!) – una situazione limite, compie un’ardita operazione di destrutturazione dei concetti basici di tanto cinema osannato dai critici (all’omonimo Tarantino fischieranno non poco le orecchie), mettendo in piedi un irresistibile ingranaggio parodistico basato sui massimi sistemi; oltre che, per l’appunto, sui meccanismi narrativi elementari del cinema stesso. Così Mandibules finisce anche con l’assumere i toni di un racconto morale: la stupidità esibita e quasi ricercata dei due protagonisti diviene arma di sopravvivenza in un mondo alla deriva, in cui una mosca gigantesca trova pieno e inalienabile diritto di asilo. E dove finiscono per risaltare, colorandosi di nuove sfumature e significati, concetti quali amicizia e solidarietà “sociale”, condivisi peraltro da un insetto extra-large molto probabilmente assai più intelligente della totalità degli indimenticabili personaggi che animano questo Mandibules, in primis la Agnés cui da vita Adèle Exarchopoulos, attrice che i più ricorderanno protagonista dello splendido La vita di Adele (2013) di Abdellatif Kechiche.
Dietro l’apparente minimalismo dell’assurdo di Quentin Dupieux, insomma, allignano idee chiare e, a proprio modo, rivoluzionarie. Il consiglio è dunque quello di farsi coinvolgere senza troppe resistenze dettate dalla logica. Alla fine del percorso si troverà grande divertimento e, per i più attenti, una nuova visione dello stato delle cose. Magari sposando gli sguardi in soggettiva di quella mosca fuori scala, “aliena” capace di integrarsi perfettamente alla realtà disegnata da Mandibules. Come ben dimostra l’encomiabile sequenza conclusiva, degno corollario di un’opera che aspira, giustamente, al massimo grado di culto.

Daniele De Angelis

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