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Maestro – Il calcio a colori di Tommaso Maestrelli

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VOTO: 7

Un calcio d’altri tempi

Per alcuni tifosi della Lazio domenica 27 ottobre è stata in tutti i sensi una giornata memorabile. Prima abbiamo visto tingersi di biancoceleste il Teatro Olimpico, dove a mezzogiorno è stato presentato, nel corso della Festa del Cinema di Roma 2024, il documentario Maestro – Il calcio a colori di Tommaso Maestrelli, dedicato a una figura tra le più iconiche del club romano. Dal Teatro Olimpico all’Olimpico stesso il passo può essere veramente breve, per cui alla fine del film abbiamo visto allontanarsi spettatori un po’ più “particolari” del festival non verso altre proiezioni, come fanno solitamente gli accreditati, ma in direzione dello stadio, dove di lì a poco la Lazio avrebbe inflitto un severo 3-0 al Genoa. Suggello ideale di una domenica esaltante per i colori biancocelesti.

Chi scrive, invece, appartiene orgogliosamente all’altra sponda del tifo capitolino, quella giallorossa cui la stessa domenica ha offerto, al contrario, non pochi dispiaceri, vista la batosta rimediata a Firenze della quale è fin troppo facile – ma non sbagliato – incolpare una dirigenza dissennata e un allenatore, Juric, rivelatosi del tutto inadeguato all’incarico.
Tale cornice potrebbe far pensare che al sottoscritto sia rimasta ben poca voglia di parlare del documentario visto in mattinata. E invece no! Anzi, a prevalere devono essere qui la sportività e magari un po’ di nostalgia per il calcio di una volta, molto più romantico e rispettoso delle bandiere…
Scritto e diretto da Francesco Cordio e Alberto Manni, prodotto da Grøenlandia e Luce Cinecittà in collaborazione con Rai Intrattenimento, con Rai Teche, con Il Corriere dello Sport e con la Società Sportiva LAZIO, Maestro – Il calcio a colori di Tommaso Maestrelli è innanzitutto un lavoro cinematograficamente lineare, ordinato, “pulito”, che di un calcio che può apparirci molto più pulito (per l’appunto) e genuino di oggi va a rievocare le atmosfere, come pure certe indimenticabili figure.

Il merito di tutto ciò va cercato anche nel soggetto preso in esame. Raccontato con trasporto nelle interviste sia dal figlio Massimo che da personaggi dello sport (giornalisti, ex calciatori) a lui un tempo vicini, Tommaso Maestrelli (pisano di nascita, ma formatosi a Bari tra le due guerre) viene ricordato con particolare affetto dalla Curva Nord per il primo, storico scudetto vinto (1973-1974), ma si è distinto in positivo anche con altre maglie, sia come giocatore che come allenatore. Da centrocampista qual era, Maestrelli esordì giovanissimo proprio nel Bari di cui divenne ben presto una bandiera, proprio negli anni migliori per il club pugliese; anni intervallati però in modo funesto dalla Seconda Guerra Mondiale, che vide il giovane rischiare più volte la vita sul fronte balcanico, ove agì onorevolmente e coraggiosamente prima con la divisa italiana e poi, dopo un breve periodo di prigionia, da partigiano all’interno della Brigata Garibaldi.
Nel Dopoguerra altre esperienze degne di nota, tra cui una breve parentesi olimpica con la maglia della Nazionale e un intenso periodo alla Roma – assieme al sodale di sempre Mario Tontodonati e sotto la guida tecnica di Fulvio Bernardini – che lo vide anche nelle vesti di Capitano, periodo culminato purtroppo con la retrocessione dei giallorossi.

Se da allenatore Tommaso Maestrelli si fece benvolere pure nella sua Bari, a Lucca, a Reggio Calabria e a Foggia, esperienze che lo videro proporre un’impostazione tattica sempre più moderna (e tale da far passare idealmente il gioco dal bianco e  nero ai colori, un po’ come gli schermi televisivi), anticipatrice per molti aspetti del “calcio totale” di Crujff, l’aneddotica più succosa e brillante si sviluppa naturalmente, nel documentario, a ridosso delle stagioni vissute sulla panchina della Lazio. E non solo per quell’indimenticabile capitolo rappresentato dal primo posto in campionato. Ma anche per il carisma dei personaggi che lo attorniavano, da Giancarlo Oddi al funambolo Vincenzo D’Amico, dall’instancabile Luciano Re Cecconi al capocannoniere Giorgio Chinaglia. Di quest’ultimo viene rievocata anche un’esuberanza caratteriale che era però specchio dei tempi, senz’altro più genuini per quanto riguarda lo sport, ma resi terribili dal clima dei cosiddetti “anni di piombo”; clima che spingeva ad esempio il bomber laziale a sentirsi più sicuro, se si portava agli allenamenti un fucile…
Il documentario rende pertanto giustizia a ogni episodio della biografia di Maestrelli, regalando anche un po’ di commozione, allorché ci si congeda rimembrando il triste calvario rappresentato dalla malattia e dalla precoce scomparsa dello sportivo.

Stefano Coccia

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