Un mondo destinato a svanire?
Quando si pensa a un premio come il leggendario Orso d’Oro, ci si immagina inevitabilmente lungometraggi (o documentari) “imponenti”, maestosi, che in un modo o nell’altro riescano a fare la differenza, vuoi per nuovi linguaggi cinematografici adottati, vuoi per avere “quel qualcosa in più” in grado di restare impresso nella memoria degli spettatori per molto e molto tempo. A tal proposito, dunque, particolarmente piacevole è stata la visione del primo lungometraggio in concorso di questa 75° edizione del Festival di Berlino. Stiamo parlando di Living the Land, diretto dal regista cinese Huo Meng, che con talento e sensibilità è riuscito a fotografare un’epoca cruciale per la Cina stessa e per chi all’epoca viveva in campagna.
In Living the Land, dunque, l’intera vicenda è ambientata nel 1991 e ruota intorno al giovane Chuang (impersonato da Wang Shang), un bambino di dieci anni, terzogenito dei suoi genitori, che vive in campagna da parenti, dal momento che la sua famiglia si è dovuta trasferire in città per lavoro. Il 1991, però, è, come già accennato, un anno di particolare importanza: in questo periodo, infatti, le nuove tecnologie stanno via via soppiantando i vecchi strumenti per coltivare i campi, ma, più in generale, tutto il mondo del lavoro sta cambiando, dal momento che, proprio a seguito di tali progressi tecnologici, molte persone che per anni hanno vissuto in campagna sono costrette a partire per trovare un impiego altrove.
Living the Land, dunque, attraverso il punto di vista del giovane protagonista ci racconta di un mondo in cui determinate usanze e tradizioni, pur restando sempre vive e pur essendo tramandate di generazione in generazione, sembrano far parte ormai quasi di una realtà destinata a svanire. In estate uno dei membri della famiglia passa a miglior vita. La terra su cui ha trascorso praticamente tutta la sua esistenza è pronta ad accoglierlo. In inverno, invece, tale terra è completamente cosparsa di neve, ma non per questo non riesce a trasmettere a chi la abita un profondo senso di calore.
Ed è, in realtà, proprio la terra in Living the Land a svolgere il ruolo della protagonista. La terra che qui viene trattata alla stregua di un vero e proprio personaggio, spesso testimone silente di lutti, disgrazie, ma anche di nascite e di matrimoni all’interno della piccola comunità che la abita. Una terra che nessuno vorrebbe mai abbandonare. Nemmeno dopo la morte. I colori della terra, dunque, ben si sposano con il rosso acceso di eleganti costumi o di cartelli che annunciano delle nozze imminenti. E così, immediatamente, il piccolo nucleo famigliare raccontato da Huo Meng ci arriva con tutto il suo calore e con tutta la sua umanità, facendoci sentire immediatamente parte di quel mondo ormai assai lontano.
Proprio come la macchina da presa del regista che si muove sinuosa per gli ambienti rappresentati regalandoci ora lunghe carrellate ora suggestivi campi lunghi, ecco che in Living the Land gli eventi si susseguono uno dopo l’altro con malinconica naturalezza, regalandoci momenti di pura poesia con la triste consapevolezza che nulla è destinato a durare in eterno. Huo Meng, dunque, ha saputo cogliere nel segno. Questa sua opera apre il 75° concorso berlinese e non sembra temere alcun altro avversario.
Marina Pavido