Malinconica riflessione sulle difficoltà dell’amore e della vita matrimoniale
Alcune persone ritengono che il tradimento sia parte integrante di un matrimonio ben riuscito. Maria è una di queste, anche se sulla sua cinica opinione sembra marciarci un po’ troppo. La donna infatti (interpretata da una bravissima Chiara Mastroianni) non fa che collezionare amanti più giovani di lei alle spalle dell’ingenuo e molto innamorato marito Richard (Benjamin Bilay).
Ovviamente, nonostante la sua cautela, il gioco una sera viene scoperto per un imprevisto provocato da quell’infernale aggeggio che è il cellulare. Per Richard è un colpo difficilissimo da sopportare e, con sua ulteriore sorpresa, la moglie fedifraga non sembra neanche troppo pentita nè preoccupata dalla questione e, anzi, questa giunge perfino a rimproverare al coniuge dal cuore spezzato la sua eccessiva considerazione per la fedeltà matrimoniale. Naturalmente Richard non è per nulla d’accordo poiché infatti, rimarca con amarezza, non si è mai sognato di tradirla e, incapace di reggere oltre la discussione, si chiude in camera da letto per riflettere. Maria ne approfitta per lasciare in fretta e furia l’appartamento e per rifugiarsi nell’hotel di fronte, alloggiando nella stanza 212 (che in realtà dà il titolo originale alla pellicola, Chambre 212). Dalla finestra del suo provvisorio nascondiglio osserva il marito vagare solo e disperato per casa e, come per magia, il suo punto d’osservazione diviene anche un non-luogo da dove valutare la sua vita. Appaiono infatti, quasi come fantasmi del suo passato, la madre, la nonna e addirittura lo stesso Richard (stavolta col volto di Vincent Lacoste), giovane però come quando Maria lo ha incontrato per la prima volta: ancora prestante, acuto e pungente nei ragionamenti, sessualmente estremamente attivo. Mentre Maria viene messa di fronte alle sue responsabilità e di fronte alle radici del suo matrimonio, compare incredibilmente anche Irene Haffner (l’ammaliante Camille Cottin), ex insegnante di piano nonché primo amore di Richard. Anch’ella tale e quale come lo era venticinque anni prima, e anch’ella con non poche questioni da rinfacciare, visto che la storia con il suo allievo pianista finisce proprio a causa di Maria e che, a quanto sembra, questa non sembra proprio essersi meritata la vittoria visti i continui tradimenti in cui si è imbarcata. Comincia una lunga notte in cui questo inspiegabile incantesimo spinge ognuno a ragionare sulle pesanti conseguenze che ha l’amore sulla vita, non solo dei protagonisti ma di noi tutti. Sul significato del matrimonio e su come viverlo, e ancora sull’enorme quantità di sacrifici che facciamo per mandare avanti i nostri rapporti. Tra questi sacrifici non c’è solo l’impegno quotidiano, la costanza e il tentativo di renderlo sempre interessante e prezioso, c’è anche e soprattutto la negazione delle altre strade che avremmo potuto imboccare e non abbiamo intrapreso. I volti e le possibilità che ci lasciamo per sempre alle spalle e che avrebbero potuto condurci ad una vita migliore, ad un compagno più riguardoso nei nostri confronti, alla gioia di un figlio invece mai arrivato. O forse no, forse la felicità finisce comunque per scemare, qualsiasi sia la scelta che intraprendiamo, perché, come dice Richard ancora giovane, “anche l’anima appassisce come il corpo, solo che non poterla vedere rende quell’invecchiamento più subdolo”. Oppure le cose vanno proprio come dovrebbero andare, sta a noi cercare di accettare il nostro presente, senza cercare, come fa Maria, i continui compromessi che servono solo a sopportare la nostra incapacità di apprezzare quanto di buono abbiamo trovato.
Come si vede c’è davvero molta carne al fuoco ne L’hotel degli amori smarriti, delle tematiche naturalmente non nuove ma raccontate con ottimi attori dal regista e sceneggiatore Christophe Honoré, che essendo anche autore teatrale inserisce qui molte trovate tipiche del palcoscenico dal vivo. Peccato che il film, dopo un brillante inizio, cominci a sbandare da un certo punto in poi, perdendo un po’ la bussola e diventando preda di un’onirica confusione: le persone del passato cominciano ad interagire con chiunque nel presente, creando confusione e notevoli perplessità nello spettatore. Non solo viene coinvolto Richard, ma perfino l’ultimo amante di Maria, l’ispanico e un po’ troppo macchiettistico Asdrubal, fino a vedere comparire il piccolo esercito di tutti gli amanti passati di Maria e addirittura la di lei forza di volontà nei panni del celebre cantante Charles Aznavour. Il risultato è un film certamente intelligente, con alcuni dialoghi molto interessanti e scene ottimamente fotografate che ci restituiscono un’atmosfera molto intimistica e a tratti malinconica, una scelta efficace visti gli argomenti trattati. Ma certamente, nonostante il film duri appena un’ora e mezza, sembra trascinarsi molto più a lungo preso com’è da mille situazioni ormai aggrovigliate l’una con l’altra in un vortice di sempre più plateale “nonsense”. E non è detto che l’arrivo del mattino ci dia una soluzione.
Il ragionamento lunghissimo, che dura appunto una intera turbolenta notte, non ci impone infatti nessuno dei tanti punti di vista affrontati. Honoré, argutamente, preferisce esporre gli argomenti, provocare, dare vita a più di una riflessione, ma lasciare al pubblico l’opinione finale su questioni che hanno da sempre arrovellato l’animo umano e, probabilmente, continueranno a farlo nei secoli a venire.
Massimo Brigandì