Fughe d’amore
Vite di migranti in una moderna piantagione e amor fou, morbosi triangoli sentimentali e spietati cartelli della droga, un Messico costantemente messo a soqquadro dalla criminalità organizzata e il Canada “terra promessa” dalle tante, troppe ombre. Ne ha messa di carne al fuoco Ivan Grbovic, cognome dalla chiara origine slava corrispondente in realtà a un astro nascente del cinema canadese. E vedendo questo nuovo, ambizioso lavoro cinematografico (suo lungometraggio d’esordio era stato, nel 2011, il premiatissimo Romeo Eleven), potrebbe non essere così azzardato paragonarne lo stile e certi paradigmi narrativi a quelli che caratterizzano il cinema di Denis Villeneuve, specie le prime opere…
Analogo il senso di spaesamento dato dal modo di filmare gli spazi esterni, altrettanto forte lo straniamento implicito in determinate scelte stilistiche e musicali, simile anche l’appeal di certi incastri narrativi. Ad ogni modo, dopo esserci stato segnalato quale candidato agli Oscar per il Canada nel 2022 e aver precedentemente ricevuto il Premio Black Panther per il miglior film al Noir In Festival 2021, Les oiseaux ivres (Drunken Birds, in inglese) è approdato con successo alle GIORNATE DEL CINEMA QUEBECCHESE IN ITALIA 2022 – Memoria affettiva (19ma edizione), dove hanno avuto modo di farsi apprezzare sia la brillantezza drammaturgica dell’opera che l’originalità delle singole ambientazioni. Pur con qualche accenno di manierismo che può, a volte, circoscriverne l’efficacia.
Road movie esistenziale dal passo anomalo, eccentrico, il film di Ivan Grbovic descrive rapsodicamente l’avventuroso viaggio compiuto da Willy nel segno di un amore tormentato e difficile, che ha nome Marlena. La sua ossessione amorosa lo ha infatti portato dal Messico dei narcotrafficanti a un Canada solo in apparenza più accogliente, amichevole, ma invero assai perbenista, bigotto e morboso; laddove lo stesso lavoro come bracciante presso la fattoria Bécotte, dalle parti di Montréal, pur essendo iniziato sotto i migliori auspici e con garanzie di ”inclusività” e trasparenza nel rapporto coi datori di lavoro apparentemente inscalfibili, rischierà col tempo e a causa di un meschino fraintendimento di trasformarsi in tragedia.
Mescolando abilmente i generi di riferimento, generando una suspense crescente e mettendo progressivamente a fuoco, attraverso il montaggio e certe felici intuizioni musicali, una poetica straniante di tutto il rispetto, Ivan Grbovic ha dimostrato in questo intrigante lungometraggio di saper raccontare storie ammiccanti, sinuose e allusive, seppur con qualche virtuosismo registico ancora un po’ fine a se stesso. Qualche peccatuccio veniale, insomma, che non limita più di tanto però l’impianto godibile e – almeno a tratti – profondo della narrazione.
Stefano Coccia