«La vita ricreata»
«La scrittura è l’ignoto. Prima di scrivere non si sa niente di ciò che si sta per scrivere e in piena lucidità», affermava Marguerite Duras. Crediamo che la si possa applicare anche alla Settima Arte sia perché anche al Cinema parte tutto dalla scrittura, ancor più nel caso di Vous ne desirez que moi, dove alla base dello script c’è un libro (“Je voudrais parler de Duras” di Yann Andrèa ) e rispetto alla storia narrata abbiamo: una scrittrice come la Duras, il suo amante Yann Andréa e la giornalista di Marie Claire Michèle Manceaux.
Il lungometraggio di Claire Simon è stato presentato in Anteprime Internazionali alla XIIIediz. del Bif&st, dopo esser stato in competizione per la Conchiglia d’Oro al 69° Festival di San Sebastian e apprezzato in altre kermesse prestigiose. La potenza di quest’opera sta nella sua universalità, nel sapere far emergere le sfaccettature dell’amore, attraverso la lente d’ingrandimento della relazione tra la Duras e Andréa.
Colui che si è innamorato di lei partendo dai suoi testi, decide un giorno di mettersi a nudo – di conseguenza parlando di aspetti intimi anche dell’artista amata – in una conversazione con la giornalista Michèle Manceaux (l’impeccabile Emmanuelle Devos). La regista de Le Concours, forte della sua esperienza e dello sguardo documentaristico, mette letteralmente in scena, nello specifico, due degli incontri avvenuti tra l’uomo e colei a cui aveva deciso di raccontare una parte molto privata della sua storia. Lei registrava le conversazioni, che, dopo la scomparsa di Andréa, sono state trascritte dalla sorella.
2/12/1982 «È così enorme che non so come affrontare il personaggio Duras», confessa subito l’uomo (Swann Arlaud).
Quando il film inizia lo spettatore sente di entrare in punta di piedi nella vita di una persona perché, per quanto stiamo parlando di una coppia nota, alcuni tratti non erano stati rivelati – giustamente; si apprezza il tatto della giornalista, la quale, conscia di ciò che sta accadendo, chiede – quando ne avverte la necessità – di poter porre una domanda o di approfondire un punto. Per il resto è Yann che nutre l’esigenza di raccontare questo coupe de foudre, parola dopo parola, lettera dopo lettera. Il tutto mentre i ricordi riaffiorano (parla al passato, eppure è ancora tutto così vivo e vivido, compresa Marguerite che è al piano di sotto e ogni tanto si fa sentire a modo suo) così come le emozioni – nel bene e nel male – e la macchina da presa si sofferma talvolta sulla reazione della Manceaux mentre ascoltiamo le parole di Yann, ora passa all’inquadratura fissa che li include entrambi oppure opta per il movimento di macchina che dal volto di lei (o dalla mezza figura di lei) va verso di lui – o viceversa. Sta su di loro, talvolta incalza lui, ma sempre col tatto – lo stesso della giornalista.
Interessanti alcune scelte come quella di parlare della Duras come presente al piano di sotto, del suo manifestarsi tramite il telefono (solo con squilli), mostrandocela di spalle e nei filmati di archivio, compreso quello in cui ha coinvolto il proprio amante nel recitare in un suo film e la osserviamo mentre fornisce indicazioni. Lei non interviene direttamente, ma ne scopriamo ‘il potere’ tramite il racconto di lui, il quale nel corso di tutti questi anni arriva persino a domandarsi: «Chi sono io?». Vous ne desirez que moi non ha ancora una distribuzione italiana; nonostante questa incertezza non vogliamo rivelare alcuni punti nodali in cui Andréa si confessa molto, si pone degli interrogativi quasi ad alta voce ed è consapevole di tutto, perché ci auguriamo che possa trovare una casa di distribuzione che abbia il coraggio di dar spazio a un film d’autore, su più piani e che non ha timore di mostrare come il sentimento amoroso possa far toccare vette impensabili e, al contempo, annientarti vivendo in funzione della donna amata e idealizzata e, forse, anche dell’ innamoramento stesso.
Maria Lucia Tangorra