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I giovani amanti

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VOTO: 5

La beau Ardant

Aveva ragione François Truffaut, uomo che, oltre ad amare visceralmente il cinema amava smisuratamente anche le donne, sul fatto che Fanny Ardant fosse una donna piena di charme; e non a caso gli ultimi due lungometraggi del regista francese, La signora della porta accanto (La femme d’à côté, 1981) e Finalmente domenica! (Vivement dimanche!,1983), possono essere recepiti anche come amorevoli omaggi a lei (proprio a quel tempo sua – ultima – compagna nella vita). Sono passati quarant’anni da quei ritratti, il proseguimento della carriera dell’Ardant, con produzioni anche italiane (nel 1987 era nel cast del corale La famiglia di Ettore Scola), è stato certamente qualitativamente discontinuo, ma lei, sebbene ormai settantenne (classe 1949), riesce ancora a spandere fascino. Ed è proprio lei, nel ruolo di Shauna, l’unico elemento incantevole e incisivo de Les jeunes amants (2021) di Carine Tardieu, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2021. Quando lei è in scena, e in particolare quando la cinepresa inquadra in primo piano il suo volto (sorridente, triste o corrucciato), lo schermo si riempie e s’illumina.

Precedentemente la Tardieu aveva raccolto favorevoli recensioni con la commedia brillante Toglimi un dubbio (Ôtez-moi d’un doute, 2018), e con questo quarto lungometraggio affronta il melodramma, genere che ha i suoi stringenti codici. La regista francese li rispetta tutti, ma il problema è che questa sua adesione alle norme prestabilite si risolve in maniera molto velleitaria. Ed è un peccato, perché è apprezzabile che la regista voglia mettere in scena una storia d’amore – semi clandestina – tra due individui di differente età, vissuta attraverso l’emotività dell’anziana Shauna e adottando una narrazione tendente al quotidiano, ma poi sono proprio i toni narrativi che sbalzano sovente verso effettismi mediocri. È pacchiano sottolineare le scene drammatiche e/o passionali con uno smodato uso ad alto volume della musica di commento, come girare scene emotive con l’effetto del ralenty; per non parlare della classica e immancabile scena drammatica della separazione tra i due amanti sotto una pioggia scrosciante. Sono tutti escamotage che fanno pensare a un sentimentalismo d’accatto, di bassa lega. La coda finale, poi, fa temere che la storia possa prendere la direzione del famigerato Love Story (1970) di Arthur Hiller. L’inserimento della malattia di Shauna è in un certo qual modo il vero colpo basso. Sebbene voglia essere un elemento in più per immettere nel racconto una delicata riflessione (e costatare se è vero amore quello di Pierre), esso appesantisce la storia, che già possiede un’importante tematica. Les jeunes amants, che è un bel titolo, poiché descrive che l’importante è lo spirito e non l’età biologica, poteva tranquillamente svolgersi intorno a questa particolare storia d’amore e ai pregiudizi dell’opinione pubblica, senza ulteriori carichi. In una scena, l’amico del cuore di Pierre gli chiede spiegazioni su del perché di questa improvvisa relazione con una donna più matura di lui, e Pierre risponde che è successo e basta. È su questa concisa spiegazione, che contiene il caso e il caos della vita, che la regista avrebbe dovuto costruire l’intero film. In ogni modo, molto meglio recuperare La paura mangia l’anima (Angst essen Seele auf, 1974) di Rainer Werner Fassbinder, cupo melodramma che inseriva anche il tema della diversità etnica.

Roberto Baldassarre

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