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Las furias

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VOTO: 6.5

Una “tragedia” familiare

Miguel del Arco è senza ombra di dubbio una delle figure più versatili e poliedriche della scena spagnola contemporanea, capace negli anni di muoversi con scioltezza e maestria tra le varie Arti. Lo abbiamo visto e apprezzato come attore in pellicole come Plenilunio, Boca a boca e La voz de su amo, per poi ritrovarlo nelle vesti di autore e regista teatrale di fortunati adattamenti postmoderni di classici come “Il misantropo”, “Uomini e topi” e “L’ispettore generale”. Inevitabile che lungo il percorso artistico e professionale, la sua carriera non facesse tappa anche dietro la macchina da presa di un film per il cinema, dopo qualche esperienza sulla breve distanza con cortometraggi come Palos de ciego amor, La envidia del ejército nipón e Morir, dormir, soñar. Nasce così Las furias, premio per il miglior lungometraggio al Festival de Cinema Opera Prima di Tudela 2016, che dopo un tour nel circuito festivaliero internazionale (tra cui l’edizione numero 61 della Seminci di Valladolid) è approdato finalmente sugli schermi nostrani nel corso della terza edizione delle Giornate del Cinema Europeo Contemporaneo.
Per il suo debutto cinematografico, il regista spagnolo è riuscito a mescolare senza soluzione di continuità tutte le sue esperienze passate e le conoscenze maturate sul set e sulle tavole del palcoscenico, lasciando che i rispettivi linguaggi si contaminassero a vicenda dando forma e sostanza allo script prima e alla sua messa in quadro poi. In Las furias, infatti, coesistono due anime: quella teatrale e quella cinematografica, con la prima che il più delle volte cerca di rubare la scena alla seconda. Il risultato è un film che richiama il modus operandi e i caratteri principali del teatro di parola, dove quest’ultima ha la precedenza sull’azione. Da questo punto di vista, la pellicola di del Arco è un fiume in piena, con i dialoghi e gli accesi confronti verbali tra i personaggi di volta in volta chiamati in causa che costituiscono la colonna vertebrale della drammaturgia e del racconto.
L’impianto teatrale è orgogliosamente rivendicato e su questo il cineasta costruisce l’intera architettura di un film corale, dove le dinamiche orali tra gli interpreti sono il punto di partenza, quello fermo e quello di forza. Un film, questo, completamente pervaso da un forte spirito fatalista, tragico e mitologico, nel quale l’autore cerca insistentemente di intrecciare la magia del teatro omerico con i conflitti di una famiglia del XXI secolo. Da una parte, il richiamo alle cosiddette Furie nel titolo è già di per sé una lettera d’intenti, figure mitologiche create dai greci per spiegare tutto ciò che sfuggiva alla loro comprensione: sono esseri dediti a perseguire chi commette crimini contro la famiglia. Impersonano quelle forze maligne che a volte riversiamo sulla famiglia e che rendono incomprensibili certi comportamenti di alcuni suoi membri. In Las furias sono entità, rappresentate come tre donne dai modi severi e l’abbigliamento anacronistico che tormentano la mente di uno dei personaggi. La famiglia in questione, invece, è l’ennesimo nucleo disfunzionale, dilaniato e bombardato costantemente da segreti, rimorsi e risentimenti che non possono non venire a galla, come un Vaso di Pandora destinato ad essere scoperchiato. Quella al centro della storia si riunisce il fine settimana nella casa per le vacanze di famiglia, prima che questa venga venduta. L’originalità del plot viene meno, poiché di vicende e plot così nella storia della Settima Arte ce ne sono innumerevoli (ultimo in ordine di tempo il mucciniano A casa tutti bene, ma riavvolgendo le lancette dell’orologio la mente non può non tornare a Parenti serpenti o a Festen), ma guardando oltre, ciò che resta è un’opera dove la performance dell’intero cast genera momenti riusciti e molto intensi (su tutti lo scontro durante il matrimonio tra Héctor e la sua compagna), che vanno a riempire quei buchi lasciati da quelli di stanca, dove il regista porta sullo schermo futili e logorroiche digressioni.

Francesco Del Grosso

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