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Lara

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VOTO: 6

Un compleanno da ricordare per il resto della vita

La giornata di Lara sembra iniziare come tutte le altre, con una tazza di tè e una sigaretta. Eppure, quello che si appresa ad affrontare è un giorno molto speciale per due ragioni: non solo è il suo sessantesimo compleanno, ma suo figlio Viktor si esibirà per la prima volta in concerto come pianista solista su musiche da lui stesso composte. Tuttavia, a differenza del padre di Viktor, Paul, e della sua nuova compagna, Lara non è invitata. Ma lei sa già cosa fare: acquista gli ultimi biglietti rimasti per lo spettacolo e li distribuisce secondo criteri tutti suoi. Gli eventi della giornata prenderanno una piega del tutto inattesa, ma non saremo noi a svelarvelo, bensì l’opera seconda di Jan-Ole Gerster, battezzata con lo stesso nome del personaggio principale per sottolinearne la centralità totale e il peso specifico nell’economia generale del racconto. Tutto, infatti, ruota e si sviluppa intorno a lei e in funzione di lei: madre assente, ex-moglie, ex-pianista a sua volta e pensionata mal digerita dagli ex-colleghi di lavoro. Motivi per cui è rimasta sola, a raccogliere le briciole di quel poco che ha seminato in termini affettivi, sentimentali, professionali e relazionali. Ciononostante ha deciso di raccogliere quel poco che resta per avere una seconda chance, cominciando proprio dal rapporto con il figlio, compromesso a causa delle continue pressioni e aspettative riposte su di lui che ne hanno soffocato il percorso d’indipendenza.
Insomma, tutto quanto il necessario per alimentare il plot di un film che prende in consegna dei temi universali come la solitudine di chi non sa dare o ricevere affetto, l’incomunicabilità, il rapporto genitore-figlio e sopratutto il lato oscuro delle ambizioni materne, quest’ultimo di fatto il baricentro drammaturgico che Lara esplora con molta lucidità e cura. Peccato che il tutto venga compresso – fin troppo – all’interno di una timeline che cerca di dare sufficiente spazio ai singoli tasselli, finendo però con il restare in superficie quando tratta gran parte di essi. Ciò che resta si riduce alla cronaca temporalmente lineare di una 24h di bilancio esistenziale, in cui una donna decide di fare i conti su se stessa, cospargendosi il capo di cenere una volta calata la notte.
Normale amministrazione che coinvolge emotivamente il personaggio, a differenza dello spettatore di turno che viene sollecitato con il contagocce dal punto di vista empatico. Quando ciò avviene, invece, il merito è solo ed esclusivamente dell’interpretazione di colei che ha dato corpo, voce, partecipazione e spessore a una figura altrimenti standardizzata. Lei è Corinna Harfouch, che si è letteralmente caricata sulle spalle la pellicola, calamitando su di sé l’attenzione del pubblico con una performance ricca di sfumature e gradi d’intensità, che le è valsa il premio come migliore attrice nel concorso lungometraggi della 21esima edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce. Senza il suo fondamentale contributo davanti la macchina da presa, un film come Lara molto probabilmente non avrebbe avuto una così valida e sicura scialuppa di salvataggio alla quale aggrapparsi.

Francesco Del Grosso

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