Ognuno è fautore del proprio destino
Dopo aver conquistato il Premio Fipresci al Festival di San Sebastian e quello della critica al Zurich Film Festival, crediamo che Lady Macbeth di William Oldroyd riuscirà a lasciare il segno anche alla 34esima edizione del Torino Film Festival.
Penserete, “c’era una volta” e per l’atmosfera, soprattutto iniziale, si potrebbe anche cominciare così; ma dietro a quest’opera (sia filmicamente che come testo d’origine) c’è uno spessore tale che va ben oltre quello che potrebbe trasmettere una fiaba. Lady Macbeth è tratto dal racconto “Lady Macbeth del Distretto di Micensk”, scritto da Nikolaj Leskov. Se nel racconto di partenza eravamo nella provincia russa, nel film ci ritroviamo in Gran Bretagna, nelle moorland spesso sfondo e co-protagonista di romanzi e altrettanti film in costume.
Katherine (un’intensissima Florence Pugh) ci appare di profilo, coperta col velo bianco di pizzo mentre viene “consegnata” al suo nuovo “padrone” durante lo sposalizio. Subito dopo ci si ritrova nella camera da letto, è stata vestita e preparata per ciò che deve fare una donna (stando alla concezione del tempo, siamo nell’Ottocento). In realtà questo primo “incontro” siamo sicuri che spiazzerà lo spettatore perché accade qualcosa che non ci si immagina. Questa donna si mostra in tutta la routine di una vita che sembra prestabilita, dalla cameriera che la va a svegliare alla posizione che assume sedendosi sul davanzale della finestra. Quando si pensa a Lady Macbeth innegabilmente la mente va subito al personaggio shakespeariano che, certo, aveva ispirato l’autore russo, ma di cui restano solo, in parte, l’aura e alcuni temi. Una differenza di fondo risiede nel rapporto col marito, sia nel racconto di Leskov che nel film di Oldroyd. Se nel testo del Bardo la donna supportava e anche manipolava il suo re per la sete di potere, questa lady Macbeth è una donna che odia sia l’uomo che ha dovuto sposare che suo suocero, cedendo alla passione per un operaio nel momento in cui i due si allontanano. Lady Macbeth richiama in questo aspetto un po’ de “La signorina Julie” di Strindberg. La sceneggiatura di Alice Birch si prende delle libertà anche nelle azioni che compiono i due amanti, dando anche il là alla raffinatezza della messa in scena. Il regista inglese esordisce dietro alla macchina da presa con un lungometraggio che riesce a richiamare l’arte teatrale in un modo sottile e originale, senza che il risultato faccia pensare al teatro filmato. L’evidenza di questo elemento si manifesta, in particolare, in alcune inquadrature e nella disposizione dei personaggi (vedi soprattutto una delle ultime scene), posizionati come se fossero sul palco. Ad arricchire questa storia anche dalle tinte gotiche ci pensa l’Arte (con echi dei pittori scandinavi), ci sono fotogrammi che sembrano dei veri e propri quadri, da quelli in cui la lady è negli abiti imponenti e riempie l’inquadratura sedendosi, ad esempio, sul divano ai momenti in cui si perde e confonde tra le eriche.
Una donna apparentemente pura, candida come il colore della camicia da notte che indossa (almeno fino a un certo punto) si rivela fredda e crudele, eseguendo o facendo eseguire, con una nonchalance che disarma, atti disumani. Il climax va di pari passo alla consapevolezza che lei guadagna di se stessa, del suo essere una donna che può avere il controllo di sé e cerca di averlo della situazione e non solo un corpo per procreare.
«Nulla si è ottenuto, tutto è sprecato, quando il nostro desiderio è appagato senza gioia». (Lady Macbeth, atto III, scena II).
Non perdetevelo in sala, sarà distribuito da Teodora Film.
Maria Lucia Tangorra