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La memoria dell’acqua

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VOTO: 9

La testimonianza del bottone

La memoria dell’acqua è un documentario che riesce a sorprendere, appassionare, emozionare. La sua struttura ha la precisione di un teorema filosofico e le divagazioni improvvise di un viaggio verso luoghi fisici e simbolici. Del resto il suo autore, il grandissimo Patricio Guzmán, ci ha nel tempo abituati ad un modus operandi in grado di spiazzare pur rimanendo perfettamente coerente con i propri intenti. Quelli cioè di portare alla luce la Storia meno conosciuta, quella che magari, a causa della sporcizia intrinseca nelle azioni umane, si tende più facilmente a seppellire sotto un velo sin troppo fitto di omertà.
La memoria dell’acqua comincia con l’indicativo primo piano di un quarzo, minerale di irresistibile fascino che dà l’impressione di provenire da mondi sconosciuti ogni volta che lo si ammira. Questo quarzo, ci illustra la voce narrante dello stesso Guzmán, contiene al suo interno una goccia d’acqua da tremila anni. Una sorta di epifania capace di dare il via ad un cammino di straordinario impatto emozionale. Dalla goccia d’acqua imprigionata nella pietra all’acqua come fonte di vita, essenza metaforica grazie alla quale è scoccata la scintilla dell’esistenza sul nostro pianeta. Con uno sguardo all’intero universo, dove solamente la presenza dell’acqua stessa può generare una qualsiasi forma di vita. Si torna poi sulla Terra, nel Cile patria dell’autore. Il quale ci racconta di popolazioni antichissime nella remota Patagonia in grado di vivere per centinaia d’anni solo con i frutti scaturiti dalla vastità dell’oceano. Erano indios che raggiunsero un numero di diffusione demografica pari ad ottomila esseri umani a cavallo tra il diciassettesimo ed il diciottesimo secolo. Attualmente i loro discendenti sono ridotti al numero di venti. Come sempre accade nei suoi documentari Guzmán non si esime dal puntare l’indice: la cosiddetta civilizzazione occidentale richiede sempre un prezzo altissimo. Qui o nell’America del Nord, nella lontana Africa od ovunque nel mondo, a scontarlo sono i più deboli e indifesi. Gli “immuni” dal cancro del potere e della cupidigia. L’acqua continua a raccontare. La veritiera leggenda di Jimmy Button è esemplare. Giovane indigeno che un capitano della marina inglese, giunto da lontanissimo in quei luoghi remoti dalla bellezza naturale abbagliante, si portò via nel continente allo scopo di civilizzarlo al prezzo di un bottone di madreperla. Da qui il soprannome di Jimmy, che tornò nei luoghi natii molti anni dopo. Uguale ma diverso, irrimediabilmente cambiato. Fu l’inizio della fine. Per un popolo ed una civiltà di lunghissima tradizione. Come la Storia, a leggerla con cognizione e attenzione, ha continuamente insegnato.
L’acqua continua ad essere il fil rouge che conduce ad altre atrocità. Ad una tematica che sta particolarmente a cuore al cineasta cileno perché vissuta drammaticamente sulla propria pelle. Mentre il governo Allende, all’alba degli scorsi anni settanta, aveva provato a restituire dignità e terre a coloro che ne erano legittimi proprietari nel corso dei secoli, la terribile dittatura di Pinochet che ne è seguita dopo il ben noto golpe ha provveduto ad azzerare tutto. E l’acqua dell’oceano è divenuta tomba per migliaia di persone considerate “nemiche” del regime. Cadaveri zavorrati da pesanti sbarre di acciaio, per le quali il mare avrebbe dovuto essere tomba definitiva ed assieme sparizione senza lasciare traccia alcuna. Per molti è stato, in effetti, così. Non per tutti. La ferocia di una dittatura che, nel patetico tentativo di occultare e mondarsi dei propri crimini, non lasciava nemmeno un corpo da piangere ai parenti. Fino a quando in mare, quarant’anni dopo, non viene recuperato un altro bottone, attaccato a quella tristemente famosa sbarra come un corpus unico ed indivisibile, nonché testimonianza ultima di un essere umano tornato, con la violenza, a quell’acqua che, nella notte dei tempi, fece nascere la vita.
Il cerchio perfetto disegnato da Patricio Guzmán si chiude in questo modo. Ed altre parole di commento sarebbero inevitabilmente superflue, rispetto a ciò che si è visto ed ammirato. Guardare La memoria dell’acqua significa partecipare ad un’esperienza di quelle impossibili da dimenticare; perciò rimane solo, da parte nostra, un invito calorosamente inoltrato ai nostri lettori a compiere anche loro quel gesto. Anche per comprendere appieno, una volta per tutte, in che modo l’arte del cinema di genere documentario possa arrivare a colpire cuore e menti di ogni spettatore quanto e più di un’opera di finzione.

Daniele De Angelis  

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